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Cultura

MUSICA E RIBELLI

FRANCESCO BORRI - 07/12/2017

 

Revolution. Musica e ribelli 1966-1970, dai Beatles a Woodstock, è una mostra sulle storie, i protagonisti, i luoghi di quel breve e densissimo periodo, gli anni tra il 1966 e il 1970, che cambiò per sempre le vite di una generazione intera e, a cascata, quelle di tutti noi. Sono gli anni che hanno scardinato le basi della società postbellica, plasmando in maniera innegabile il nostro stile di vita attuale. Quei 1826 giorni vengono raccontati attraverso oltre 500 oggetti-testimonianze di momenti, vite eccezionali, canzoni che hanno segnato la storia, abiti che hanno fatto tendenza (e scandalo), film indimenticabili, attimi che potremo rivivere.

La mostra, già approdata al Victoria and Albert Museum di Londra, si tiene a Milano fino al 4 aprile 2018 negli spazi della Fabbrica del Vapore, promossa e coprodotta da Comune di Milano-Cultura, Fabbrica del Vapore e Avatar – Gruppo MondoMostreSkira, in collaborazione con il museo londinese.

Curata da Victoria Broackes e Geoffrey Marsh del Victoria and Albert Museum, insieme a Fran Tomasi, maggior promoter italiano che per primo portò in Italia i Pink Floyd, Clara Tosi Pamphili, giornalista e storica della moda, e Alberto Tonti, noto critico musicale, la mostra è un percorso esperienziale fatto per avvolgere i visitatori di atmosfere, oggetti, memorabilia, design, arte, grafica e soprattutto dalla musica di quegli anni anche grazie al sofisticato sistema audioguide Sennheiser, partner dell’esposizione.

Un viaggio che ripercorre gli ambiti in cui le rivoluzioni di quegli anni ebbero luogo: la moda, la musica, le droghe, i locali e la controcultura; i diritti umani e le proteste di strada; il consumismo; i festival; le comunità alternative. Da Carnaby Street a Londra agli hippy di Haight-Ashbury, dall’innovazione tecnologica della Bay Area alle proteste del maggio francese, dalle comuni sparse in tutta l’America ai festival di Woodstock e dell’Isola di Wight, questi anni furono caratterizzati da un idealismo ottimista che spingeva le persone a far fronte comune per sovvertire le strutture di potere in ogni sfera della società. Una riflessione infine su quante di esse hanno prodotto un cambiamento reale e duraturo e quante invece sono andate perdute nei decenni successivi.

La travolgente onda della cosiddetta “Revolution” arriva dall’Inghilterra e porta con sé cambiamenti radicali che vanno dalla crescente attenzione per i diritti umani, al multiculturalismo e a nuove politiche neoliberali, passando per il boom scientifico e ovviamente la musica, la moda e l’arte in generale. “Improvvisamente Carnaby Street a Londra diventa l’ombelico del mondo, la fucina dalla quale vengono espulse valanghe di idee, il luogo delle sette meraviglie, la way of life della nuova generazione” scrive Alberto Tonti. In Gran Bretagna, in quei cinque anni rivoluzionari, nascono grandi nomi di band come i Beatles, i Rolling Stones e gli Who tra tanti altri, e alcune delle personalità più eccentriche e rivoluzionarie di quei tempi come le top model Twiggy (detta “grissino”) e Jean Shrimpton (detta “gamberetto”), Mary Quant, inventrice della minigonna, John Cowan, il fotografo che presta il suo studio ad Antonioni per girare “Blow Up”, mentre le città si animano sempre più di una variopinta umanità che insegue le tendenze del momento.

Negli anni ’60 anche nella società italiana avvengono profondi cambiamenti: il boom economico, l’espansione edilizia, l’enorme vendita di merci grazie anche alla possibilità del pagamento rateizzato. La grande ondata di benessere produce un forte aumento della scolarizzazione: dal 1957 al 1967 gli iscritti all’università raddoppiano da 200.000 ad oltre 400.000 unità in una scuola pubblica con strutture inadeguate e dove vige ancora un forte autoritarismo e dogmatismo. Gli studenti sono i primi a raccogliere la spinta libertaria nata negli Stati Uniti contestando la cultura tradizionale e “borghese”, l’autoritarismo e il paternalismo, in sostanza rifiutando la visione del mondo dei padri e degli adulti in generale. Come ci ricorda Francesco Tomasi “è il 24 gennaio del 1966 quando a Trento viene occupata la prima università italiana e da quel momento, per i due anni successivi, sono decine le università che verranno occupate. A differenza di altri paesi, in Italia il fervore della protesta dura e si articola per oltre 10 anni. Il movimento diventa di massa e coinvolge gli operai e altri strati della società e assume un carattere poli-culturale, interclassista e internazionalista”.

Per quanto la gran parte della musica dell’epoca sia stata definita di protesta, il termine è senz’altro riduttivo. I temi sviluppati dagli artisti in quegli anni sono quelli più cari alla gioventù: libertà, amore, amicizia e anche preoccupazione per il futuro. “L’apparente epoca felice che va dal ’63 al ’68, anno in cui arriva la vera protesta che assume caratteri politici e di costume ben definiti, non è aliena da accadimenti che pesano. Su tutti: la morte di Papa Giovanni, l’assassinio di JF Kennedy, la guerra del Vietnam e l’uccisione di Che Guevara”, ci fa riflettere Alberto Tonti. In un lasso di soli cinque anni la “febbre del beat e della psichedelia” cattura e coinvolge milioni di ragazzi che, con il contributo del radicale cambiamento nella moda, di gadget appositamente ideati per le loro esigenze e stili pubblicitari totalmente reinventati, si ritrovano attori e spettatori di una vera e propria rivoluzione a 360 gradi.

Questa non è dunque una mostra su un periodo storico, una moda, una città, uno stile o un genere musicale. Questa è una mostra su una delle cose più fragili ed allo stesso tempo più resilienti e durature che esistano sulla faccia di questo pianeta: un’idea. L’idea di Rivoluzione.

Rolling Stone, VH1 e Virgin Radio sono a fianco del progetto come Media Partner. L’allestimento è progettato da Corrado Anselmi e il progetto grafico è a cura dello Studio Dinamo Milano.

Il catalogo è edito da Skira.

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