Bastano due ore da Roma a Napoli per gustare un anticipo del Natale nei vicoli di San Gregorio Armeno e nei suoi presepi.
Con poco più di sessanta minuti in Frecciarossa e poche stazioni di metrò, fermata Museo, passando per via dei Tribunali ci si immerge in un mondo parallelo fatto di statuine e luci, di grotte e giochi d’acqua, di angeli e pastori. Intorno la cornice delle grandi chiese barocche del capoluogo partenopeo. Il Duomo è a un centinaio di metri dall’inizio del quartiere. In fondo il Cristo velato.
Si avanza a fatica in questo mercatino a cielo aperto che cominciai già a novembre e si prolunga sino a dopo l’Epifania. Stretti tra turisti e passeggini, curiosi e napoletani doc, camminiamo lentamente, gettando sguardi a destra e a sinistra agli ingressi dei negozi.
Ogni tanto un vicolo introduce a una piazzetta anch’essa ingombra di bancarelle. Le grida, comuni a Napoli dove tutti parlano ad alta voce,s i mischiano ai colori degli oggetti e alle lampade che illuminano la angusta via.
Il presepe a Napoli non è un accessorio. È Napoli. Basta pensare a Edoardo De Filippo e al suo ‘Natale in casa Cupiello’: nella contrapposizione tra il padre di famiglia, Luca Cupiello, interpretato proprio da De Filippo, e suo figlio Nennillo, uno appassionato al presepe e l’altro no, c’è la rappresentazione di una rottura tra il passato e il presente, tra tradizione e disprezzo. “Te piace ‘o presepe?” è il mantra che Luca ripete ogni mattina, con forza e insistenza. “No”, gli risponde Nennillo annoiato.
Il presepe napoletano è democratico e trasversale. In un microcosmo sin troppo affollato c’è posto per tutti. Non solo i personaggi “storici” come i Re Magi e gli angeli intercettano la venuta del Cristo. C’è anche il pastore addormentato (Benino), l’ubriaco (Ciccibacco), zingare, pescatori, mercanti d’animali esotici, artigiani, commercianti, mendicanti, meretrici, monaci, cardinali, pizzaioli e lavandaie.
Appena usciti dall’aver visto le sette opere di misericordia del Caravaggio al Pio Monte (anch’esso poco distante dal quartiere) la rappresentazione del popolo napoletano misero ma speranzoso, sembra non avere soluzione di continuità. Un quadrilatero di sacro e profano.
Le statue sono per lo più in terracotta con gli abiti cuciti a parte. Le dimensioni delle più varie. Le ‘location’ squarci della città’ intorno al ‘700. Le grotte o le capanne di pregevole fattura: alcune possono costare anche centinaia di euro.
Come è noto altra caratteristica del presepe napoletano è l’ iniezione di personaggi legati all’attualità (da Pino Daniele a Papa Francesco, da Sorrentino a Massimo Troisi ) ma se si visita l’incantevole mostra allestita in un’ala della Certosa di San Martino al Vomero, si scopre che già due secoli fa gli artigiani seguivano la stessa tradizione: ecco per esempio un pastore con le sembianze inconfondibili di re Carlo di Borbone.
Insomma per i napoletani Cristo che nasce in maniera sommessa ma imprevedibile ha a che fare con la vita di tutti i giorni. Con i suoi dolori e le sue gioie. Con il vino e con il pesce. Le puttane e i sovrani. La pizza e la Chiesa.
È la stessa familiarità con cui i partenopei si rivolgono alla statua di San Gennaro per via del bronzo che nei secoli si è ingiallito. “Faccia gialla facce o’ miracolo!”, gridano. E più che chiederlo, lo esigono.
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