Non so se avete notato che, di quando in quando, scoppiano strane “epidemie sociali” – o forse sarebbe meglio definirle “mediatiche” – che poi sembrano svanire nel nulla. C’è un episodio di pedofilia? Nei giorni seguenti i pedofili spuntano come funghi in tutto il Paese, si moltiplicano, e per qualche tempo monopolizzano i notiziari. Poi, all’improvviso, spariscono: evidentemente si ravvedono tutti insieme. Fino alla volta successiva. E così accade per il bullismo, l’omofobia, gli episodi di razzismo, gli stupri, lo stalking, i femminicidi. Non fraintendetemi, non voglio sostenere che siano notizie false o che non si dovrebbe parlare di simili fatti. Al contrario, credo che si dovrebbe continuare a parlarne anche quando non fanno più scalpore, ma senza enfatizzazione né spettacolarizzazione. Sarebbe il compito di un serio giornalismo di indagine e approfondimento.
Parallelamente è invalso lo stucchevole rito delle “giornate” di denuncia, che temo servano solo a sentirsi la coscienza a posto, se non addirittura a provocare assuefazione o rifiuto dei relativi problemi. Dite che servono a sensibilizzare l’opinione pubblica? In realtà, penso che solo chi è già sensibile e attento al tema in questione si lasci coinvolgere. Per il resto, con l’aiuto dei media, tutto fa spettacolo.
L’ultimo caso è quello della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che – per sfortuna o fortuna, dipende dai punti di vista – si è trovata compressa tra la giornata per i diritti dei bambini e quella contro la schiavitù, e quindi non ha potuto essere amplificata più di tanto. Quel 25 novembre ho creduto per un momento che qualcosa fosse cambiato quando ho visto in televisione l’aula della Camera affollata, fenomeno che già per la sua stranezza avrebbe dovuto farmi sorgere qualche dubbio. Poi guardo bene e vedo che sono tutte donne quelle che siedono sugli scranni e sento che sono 1300, lì riunite per discutere del problema cui la “giornata” è dedicata. Credevo di essere capitata in un film – il genere decidetelo voi.
Anzitutto sarebbe stato molto più efficace se ad affrontare l’argomento fossero stati chiamati anche gli uomini, magari quegli onestuomini cui si riferiva Emilio Corbetta su queste pagine. Ma, soprattutto, il Parlamento non è il luogo dove si legifera? E allora quale modo migliore per celebrare la “giornata” se non quello di approvare finalmente una legge che metta al sicuro la vittima da ogni possibile rappresaglia del suo persecutore? Per carità, parlare è meglio che tacere, per dirla alla Catalano. Tuttavia dal Parlamento – nonostante il nome – mi aspetterei non parole ma soluzioni.
Ancora incredula, ho voluto vedere se fossero state prese altre iniziative, a livello istituzionale, per arginare il fenomeno e sono entrata nel sito della Camera dei Deputati. E che cosa ho scoperto? Che nel corso della settimana erano stati organizzati tre eventi. Il primo, una conferenza internazionale dal titolo “Empowerment femminile e lotta alla tratta – La partnership Italia-Nigeria”, è quello più significativo, anche se – sarò cinica – sono convinta che le conferenze non servano granché. Il secondo e il terzo? Uno spettacolo teatrale ed uno cinematografico sulla violenza di genere, a cui ha presenziato la Presidente della Camera. Ecco, appunto: tutto fa spettacolo.
Lasciatemi fare un’ultima considerazione sulla giornata per i diritti dei bambini. Nel centro di Varese è andato in scena un altro spettacolo: hanno manifestato gli scolari delle elementari, con tanti ombrellini colorati. La cosa mi ha lasciato senza parole. Però qualcuna, qui, mi scappa di dirla: non sarebbe più logico che i diritti dei bambini li difendessero gli adulti? E se ai bambini si cominciassero ad insegnare i doveri? Magari crescendo avrebbero qualche possibilità in più di non diventare molestatori o violenti.
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