Colgo spesso critiche a Papa Francesco per i suoi atteggiamenti sull’immigrazione, lo ius soli e anche sul suo recente viaggio in Myanmar.
Gli si imputa di spingersi troppo su questi temi, di “far politica” oltre che di dimenticare le sofferenze di tanti cristiani perseguitati per la loro fede.
Credo che le critiche dovrebbero tener conto che il Papa rappresenta una Chiesa diffusa nel mondo in cui i cattolici europei sono numericamente ormai minoranza e che è stato arcivescovo di una città come Buenos Aires dove ci sono periferie di baracche ben peggiori di Roma ed è particolarmente sensibile alla povertà dei popoli e ai problemi della giustizia sociale.
Soprattutto trovo positivo che la Chiesa cattolica torni a guardarsi intorno nel mondo perché il fondamento del Vangelo è indubbiamente l’amare il nostro prossimo ed è quindi dovere del Papa richiamare i cristiani ad interessarsi – nei diversi modi e in tutte le situazioni – del proprio “prossimo”, qualunque esso sia ed oggi la Chiesa non può tacere sulle assurde ingiustizie legate alla ricchezza.
Alcune volte non condivido invece il pensiero del Papa, ad esempio quando ritiene che questo possa avvenire con leggi come lo “ius soli”, ovvero su tematiche politiche molto complesse e sulle quali sono legittime opinioni diverse anche all’interno della Chiesa – per esempio perché servirebbe una identica norma applicata in tutta Europa – visto che avere una cittadinanza non favorisce automaticamente una maggiore integrazione.
Condivido completamente Francesco quando invece richiama l’attenzione del mondo sui più deboli e disperati e su guerre, emigrazioni e genocidi, ovunque abbiano luogo e non importa a danno di chi.
Altre volte alcune scelte “minori” o certe sue frasi (anche perché espresse in un italiano approssimativo, senza sottigliezze verbali) mi hanno lasciato perplesso. Ad esempio quando due anni fa – tornando da una rapida visita a Lesmo, l’ isola greca diventata la spiaggia di sbarco in Europa di migliaia di profughi siriani – decise di riportare a Roma alcune famiglie di profughi, ma scelse tutte famiglie musulmane e non anche alcune di profughi cristiani visto che in Siria i cristiani sono stati martirizzati soprattutto dall’Isis e non certo da Assad.
Non posso dare consigli, ma vorrei che il Papa insistesse di più a ricordare i tanti patimenti dei cristiani nel mondo, a cominciare proprio da quelli in Medio Oriente dove vengono discriminati e sterminati dagli estremisti musulmani.
Troppe volte noi cristiani dimentichiamo cosa soffrano e rischino questi nostri fratelli e non dobbiamo ricordarli (ed aiutarli) in “odio” ai musulmani, ma per fraternità di fede e nella preghiera. Non ho alcun titolo per dare consigli, ma vorrei che il Papa fosse più chiaro ed intransigente oppure che si dimostrasse più coinvolto quando gli attacchi toccano la chiesa, come per l’uccisione di quel sacerdote, proprio in chiesa, nel nord della Francia.
Il perdono è d’obbligo, ma mi resta la convinzione che abbiamo il dovere di difendere la nostra fede riproponendo senza paura ciò che fa parte delle nostre tradizioni (come il presepe a Natale) da non nascondere per l’ingiustificata ed esagerata paura di “offendere” chi non è cristiano.
La “laicità” è un diritto per chi non crede, ma spesso è l’anticamera della perdita di ogni identità con risultati catastrofici nei rapporti sociali e la cronaca – purtroppo – ce lo insegna tutti i giorni.
Circa le cronache recenti penso che il Papa abbia fatto bene a ricordare apertamente il dramma della popolazione Rohingya in Birmania anche se musulmana, ma il punto principale che dobbiamo porci è la domanda non tanto su cosa faccia di bene o di male il Papa, ma piuttosto su cosa facciamo noi – intendo singolarmente e a valere per ciascuno – nei confronti dei tanti drammi del mondo di cui parliamo poco e ai quali ben raramente pensiamo.
Ci sono troppe situazioni critiche dove a soffrirne è sempre e prima di tutto la povera gente innocente, così come l’indignazione per il terrorismo va a singhiozzo a seconda di come vengono diffuse le notizie.
Gli almeno 345 musulmani sufi ammazzati dall’Isis nel Sinai venerdì della scorsa settimana sono “passati” sui media solo con un breve filmato, così come pochi parlano del dramma dei Curdi o delle conseguenze delle politiche dei vari dittatori sanguinari africani, spesso riveriti ed ossequiati a livello internazionale.
Troppe volte scatta poi il preconcetto politico dei media che hanno i “cattivi” di serie A mentre sorvolano o minimizzano su altri.
Quanti ragazzi – ai quali ogni giorni si parla dei misfatti del nazismo e del fascismo – hanno mai avuto notizia a scuola qualcosa dei genocidi di Stalin in quello stesso periodo o – per restare all’Asia – chi ha conosciuto il dramma dei Montagnard, popolo sterminato dai comunisti vietnamiti o degli Uiguri, deportati a centinaia di migliaia dai cinesi che hanno fatto il bis del Tibet, la cui occupazione e distruzione culturale e politica va tenuta sotto silenzio per non rovinare i commerci con Pechino?
Se Papa Francesco “provoca” credo lo faccia anche per svegliare le coscienze di cristiani superficiali, addormentati o pigri che non sanno nulla di cosa voglia dire essere cristiani là dove sei minoranza, quando vivere la propria fede significa rischiare la vita.
Natale si avvicina: per una volta passiamo un po’ di tempo a cercare di informarci e a riflettere su cosa succede nel mondo e forse comprenderemo meglio anche le parole di Francesco.
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