Che per Don Giussani Roma fosse soprattutto la presenza della Santa Sede e del Vicario di Cristo è fuor di dubbio. Il sacerdote brianzolo, a parte le necessità di viaggi ed incontri, non si spostava mai volentieri dal piccolo appartamento milanese, accanto al Convento delle Suore dell’Assunzione di via Martinengo. Raggiungeva la capitale soprattutto per le udienze in Vaticano o per i rapporti con la Conferenza Episcopale Italiana nel delicato periodo del riconoscimento del movimento tra gli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta.
Non prestò mai ascolto a chi gli suggeriva, come altri ordini o movimenti fecero, di aprire una sede di rappresentanza a Roma. Accadde solo con l’ufficializzazione della Fraternità e quando il movimento si era già esteso in altri continenti.
23 Marzo 1975: domenica delle Palme dell’anno Santo. Paolo VI aveva dedicato la giornata ai giovani, ma si temeva una piazza vuota. “Non ci sono parole – ricorda Monsignor Girolamo Grillo – per descrivere il dolore e il tormento che avevano provocato nel cuore di Papa Montini alcune scelte di intellettuali cattolici che erano passati al PCI o il pianto per quello che senza mezzi termini chiamò il tradimento delle ACLI”.
L’impressione di solitudine doveva essere veramente grande in Vaticano, in particolare in Segreteria di Stato. Così Monsignor Benelli si rivolse a Don Giussani. “Nella notte – ricorda Massimo Camisasca nella sua storia di CL – vennero in pullman e treno da tutt’Italia circa diciottomila giovani per partecipare nel freddo pungente di quella mattina alla Messa celebrata da Paolo VI”. Che al termine della funzione ricevette don Giussani e pronunciò la famosa frase: “Questa è la strada, vada avanti”.
Più numerosi sono i contatti con il successore Giovanni Paolo II. Il Papa venuto da lontano conosce già CL per le sue visite in Polonia durante gli anni della cortina di ferro. La partecipazione dei giovani all’estenuante pellegrinaggio Varsavia-Czestochowa aveva reso all’allora arcivescovo di Cracovia abituale la conoscenza del carisma del movimento. La prima udienza infatti fu immediata il 18 Gennaio 1979 “…mi sono inginocchiato – racconterà lo stesso Giussani – e lui mi ha afferrato il polso e mi ha tirato su… Stringe in modo terribile… Mi ha detto: “Noi ci conosciamo”. Gli ho risposto: “Santità noi vogliamo una cosa sola: vivere la fede. E per noi vuol dire che la fede deve essere una cosa interessante per tutta la vita”. Ha una testa che sembra quella di un leone e con la testa ha cominciato a fare di sì. Capite? La fede di Cristo: cuore della vita”.
È l’inizio di una lunga serie di incontri, compresi quelli dei giovani di Roma a Castel Gandolfo o al cortile di San Damaso dove alla sera ci si radunava per cantare a Giovanni Paolo II. Alla notizia dell’avvio della causa di beatificazione di Don Giussani in Duomo a Milano applaudirono oltre diecimila persone. Impressionante. Ma lo fu di più la constatazione che per ognuno dei diecimila c’era stato un momento della propria vita in cui aveva incontrato il fondatore di CL .
Poteva essere accaduto al liceo Berchet o agli esercizi della Fraternità a Rimini, ad una gita o alle sue lezioni in Università Cattolica, durante i suoi viaggi o nell’appartamento di via Martinengo. Quanti sguardi in ottantadue anni ha avuto il Gius ?
Chi scrive lo ha sperimentato dietro un banchetto libri di una vacanza universitaria. Passando con la sua falcata affannata e disconnessa, si fermò di botto e guardando le pubblicazioni mi chiese con la sua ben nota roca voce. “Qual è l’ultimo uscito?”. Gli mostrai un po’ intimidito un libro della Jaca Book, ‘Manuale della Trappa’, scritto da un francese di cui non ricordo nemmeno più il nome. Lo prese, lo rigirò, ne scrutò attentamente la copertina e poi me lo restituì. “Bello – disse – peccato però che possa prestarsi ad una lettura sentimentale. Perché vedi, ragazzo, il punto del monachesimo è che puoi avere un rapporto infinito anche con un sasso”. E se ne andò.
Mai più rivisto di persona. Eppure quella frase lì me la ricordo ogni giorno.
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