Coperto d’insulti e accusato di schiavismo in America, amatissimo e più che mai conteso in Italia. Si chiude uno strano 2017 per Cristoforo Colombo, il navigatore ligure che prese il mare da Palos convinto di raggiungere le Indie e invece approdò nell’isola di San Salvador, nell’arcipelago delle Bahamas, scoprendo il continente americano. Era il 12 ottobre 1492. La ricorrenza è tradizionalmente celebrata oltreoceano il secondo lunedì di ottobre con il Columbus Day, mai come quest’anno in un clima di discordia. Quella che un tempo era la festa per eccellenza della comunità italo-americana ha registrato vandalismi e proteste in oltre cinquanta città.
A Baltimora una statua del navigatore eretta nel 1792 è stata demolita a martellate. A Detroit i manifestanti hanno avvolto il monumento in un drappo nero in segno di lutto. A Houston la scultura è stata imbrattata di vernice color sangue. A Oberlin il consiglio comunale ha abolito il Columbus Day sostituendolo con l’Indigenous People Day, la festa delle popolazioni indigene. A Yonkers, a nord di New York, il busto in gesso è stato decapitato e manifestazioni analoghe si sono verificate in Pennsylvania, in Ohio, in California e altrove. Dando la stura ad un fuoco pirotecnico di riflessioni e revisioni storiche nelle università e nei dibattiti della politica.
Se l’America lo contesta, l’Italia invece litiga per troppo amore. Nei giorni scorsi si è riaccesa in Liguria l’antica querelle fra Genova e Cogoleto che si contendono il luogo di nascita e che dispongono, entrambe, di una presunta “casa natale”. A soffiare sul fuoco questa volta è stato il sindaco della cittadina di ponente, Mauro Cavelli, che ha postato su Facebook un documento del 1564 in cui si parla di “Columbus de Cogoleto” in risposta al testamento spagnolo esposto nel Palazzo Ducale di Genova dove Colombo sottoscrive la frase “siendo yo nacido in Genova”. Ma il documento, per l’avversaria Cogoleto, non sarebbe originale.
Chi ha ragione? Meglio non chiederlo a Savona né a Cuccaro Monferrato (il paese in cui Nils Liedholm aveva un’azienda vitivinicola) né a Bettola nel piacentino (il paese di Pierluigi Bersani), che rivendicano a loro volta di aver dato i natali al celebre ammiraglio e che, all’epoca, dipendevano dalla repubblica di Genova. Così come Sanluri in Sardegna e Calvi a nord di Ajaccio, in Corsica. Per non parlare, all’estero, della rivendicazione della Catalogna che lo chiama affettuosamente Cristóbal Colón o del Portogallo, di cui Colombo sarebbe stato una spia o perfino della Polonia, in questo caso sarebbe figlio del re Ladislao III.
In attesa di prove risolutrici, è giusto chiedersi se il navigatore ligure fu il sanguinario persecutore di cui parlano i contestatori yankee. É vero che schiavizzò le popolazioni indigene nei Caraibi e inaugurò il genocidio dei nativi d’America? Di certo fu un mercante e come tutti i mercanti cercava di arricchirsi, magari di scoprire una scorciatoia per arrivarci in fretta. Non era uno scienziato, né un geografo, né un politico pacifista e aveva una modesta istruzione, falsa o non provata la circostanza che avesse frequentato l’università di Pavia. Un abile navigatore, questo si, coraggioso e spinto da un’insaziabile sete di conoscere. Ostinato, caparbio e convinto del proprio intuito.
Diventò ammiraglio di Isabella di Castiglia da mozzo che era stato. Finanziato dalla regina e dal ricco Banco genovese di San Giorgio partì cercando la via breve per l’Oriente e toccò terra nel Nuovo Mondo. E dopo il primo viaggio tornò su quelle rotte tre volte, incaricato dalla corona di Spagna di ricavare i massimi benefici dalla scoperta. L’audace esploratore non era più l’avventuriero alla ricerca di grandi imprese ideali, ma un “funzionario” che agiva su incarico e per interessi altrui. Con vantaggi personali come governatore delle terre scoperte e una rendita del dieci per cento sui futuri traffici marittimi.
Iniziarono così le sistematiche ricerche dell’oro, lo sfruttamento degli schiavi, le violenze e i sanguinosi scontri con le popolazioni indigene. Fu tutta colpa di Colombo o va condivisa con i rapaci committenti che gli ordinarono di sopraffare e trarre profitto dalle popolazioni locali? I difensori d’ufficio americani dicono che non si possono cambiare la storia né la mentalità di un’epoca violenta e affarista – come quella attuale, del resto – e che non serve a nulla prendere a martellate le statue. Da salvare, però, sono il coraggio, lo spirito d’avventura e la sete di nuove scoperte che animavano il giovane ammiraglio all’imbarco di Palos, simboli positivi dell’intero genere umano.
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