Dicembre: l’uggiosa pioggia viene sgombrata dal forte vento e le giornate grigie si alternano a giorni limpidi, in cui l’aria è color miele. In casa si riscopre la dolcezza domestica che si dilata nell’accogliere amici. Si respira aria di fuoco e di memorie.
”Certo che voi ambrosiani siete veramente strambi. – mi dice un caro amico che tengo caro fin dall’infanzia e con cui sono cresciuto condividendo giochi tumultuosi, gite immemorabili in montagna, pensieri e scambi di confidenze – Avete spostato il Vangelo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, quando in tutto il mondo quella pagina viene letta durante la liturgia della domenica delle Palme”.
“Vedi, la liturgia ambrosiana guarda al sodo, va dritta all’essenziale, non bada alle esteriorità. Riflettendo sulla pagina del Vangelo di Marco, che sentiremo proclamare domenica in chiesa, dovremmo capire che con la sua nascita, Gesù entra nel tempo e nella città degli uomini, cioè nello spazio abitato da donne e uomini”.
“Come siete arcaici, desueti: per badare all’essenziale, ricorrete ai bizantinismi esegetici che solo pochi possono comprendere…”- rinforza con la parola l’amico.
“Al contrario. Il Vangelo ci presenta un’immagine palese di Gesù: sale alla città di Gerusalemme in groppa a un asino e viene accolto dai suoi abitanti festanti. Attento a queste parole- chiave: “sale”, “verso la città”, “seduto su un asino”, “in mezzo alla gente” – rumino all’amico che si corruccia per queste visioni insensate.
“Quando siamo stati assieme in Palestina, ricorderai che uno sgangherato autobus ci portò da Betania a Gerusalemme superando un leggero pendio. Quando, giovani e irridenti, ascendevamo il Piz Boè faticavamo, eravamo madidi di sudore, il sole ci bruciava, eppure quell’ascendere era solo una tappa che ci annunciava i germi di una consolante evasione del mondo. Talvolta l’anima era avvilita, lo spirito deluso, portavamo nel cuore lo sconforto per la guerra nel Vietnam, per l’orgoglio di tanti potenti, per l’arroganza accademica di certi nostri docenti, per l’affannosa ricerca di una professione che fosse al servizio degli altri. Anche Gesù sale verso Gerusalemme con il cuore gonfio di amarezza perché sa che fra poco sarebbe arrivata la sua ora. Eppure sale, determinato, sapendo di trovare resistenze, opposizioni dure soprattutto da parte dei potenti”.
“Sì, va bene, ma cosa c’entra tutto questo discorso spinoso e immaginario con l’Avvento?” – mi replica l’amico.
“C’entra, c’entra. Con il Natale, Dio si fa uomo e viene ad abitare tra gli uomini, ma non come il Messia potente che il popolo eletto aspettava. Gesù entra a Gerusalemme sulla soma di un asino, in piena mansuetudine. Il suo ingresso non ha nulla di trionfale. È un Dio che non signoreggia, anzi chiede di essere chiamato “padre”. L’aveva predetto un profeta – mi sembra sia Zaccaria – che il re d’Israele sarebbe venuto cavalcando una bestia da soma. Mi colpisce il fatto che Gesù entra nei più piccoli dettagli per la ricerca del puledro perché esso è il simbolo della povertà e ha inoltre il sapore della profezia. Dà precisi ordini ai due discepoli: – Scioglietelo e portatelo a me! Gesù sale su un animale da soma, slegato: non è forse questa l’immagine della libertà con cui Gesù e la sua Chiesa vogliono farci respirare per permetterci di vivere come uomini che hanno le ali e vogliono slanciarsi verso l’infinito?”
“Mi interessa questa tua interpretazione. Ogni uomo non desidererebbe di meglio. Quale altra strana esegesi aggiungi?” – mi chiede l’amico fra il serio e il faceto.
“Il modo con cui il Messia entra in città, tra la gente che lo precede e lo segue. Gesù non è in testa a un esercito come un generale che sprona i suoi soldati, no, è in mezzo alla piccola folla formata da gente che immagino essere stata quella di ogni giorno: poveri, artigiani, straccioni, donne, bambini. Tutta gente semplice che stende mantelli per strada e chiama benedetto colui che è mite e umile di cuore. Entra nella città del potere: tra gli strenui difensori di un regno terreno promesso, fra i violenti e gli spietati. Vede la sua amata Gerusalemme e piangerà l’indomani su di essa.
Oggi camminerebbe tra i mafiosi, gli spregiatori della vita, i carnefici delle donne, i traditori del bene comune, i devastatori del Creato: non lo credi? E andrebbe incontro all’umiliazione di tanti poveri, ai drogati che bramano di violare loro stessi, sarebbe in mezzo a coloro che non si accontentano di essere ricchi, ma che vogliono arricchirsi sempre di più, fra coloro che infamano la giustizia, fra i giovani rassegnati e annoiati. Non mi scandalizzerei se sedesse alla tavola con gli spacciatori, con il capobastone o con un suo servo infedele. Gesù, la cui nascita noi ricordiamo a Natale, tutto assume con la sua umanità, tutto discerne e giudica, ma al potere preferisce l’essere servo, alla logica dell’individualismo preferisce la condivisione con gli uomini, all’affermazione di sé preferisce la sottomissione fino al dono della vita, all’inimicizia preferisce il perdono: sempre in mezzo agli uomini, fra le strade e i campi della Palestina e oggi fra i grattacieli, le piazze, le baracche delle nostre città.
Ce lo dice anche papa Francesco: ”Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”. Gesù sì che ha “l’odore delle sue pecore !”
In mezzo a questa società consumistica, obesa, sazia, Gesù indica la ricerca del senso del vivere sobriamente come soddisfacimento dei nostri desideri: alla sessualità divenuta possesso propone la bellezza del corpo come fonte di novità e di felicità, a chi mira all’esclusione dell’altro, al suo allontanamento, indica la strada dell’accoglienza che garantisce la gioia dell’incontro, a noi che vogliamo tutto e subito, che siamo smemorati, indica una meta finale e il dinamismo del futuro, di fronte alle promesse non mantenute ne addita una che diviene speranza e attesa. Ti sembra poco?
Gesù che entra nella città santa è segno che i cristiani non devono arroccarsi a guardare la città dall’alto e giudicarla, bensì devono “sporcarsi le mani” per servire gli ultimi, le vittime della storia, i sofferenti, per fare della città non un semplice aggregato di individui, ma la dimora di donne e uomini che vivono in spirito di fratellanza e dove ogni loro gesto, ogni loro scelta, ogni parola detta sia una tensione verso l’altro”.
L’amico, che finora mi ha ascoltato tra pause e silenzio, sbotta:” Vedo che non hai smesso di fare sociologia anche con il Vangelo…”
“Vorrei solo leggere gli avvenimenti quotidiani alla luce del Vangelo: non ti accorgi che passiamo vicino al Natale banalmente, senza più stupore come se esso fosse una partita di calcio giocata male o una leggenda per bambini?”
“Ti dirò, però, che all’asino che porta Gesù a Gerusalemme preferisco quello che lo riscalda nella grotta… Voglio conservare questa tradizione”.
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