È un appuntamento ormai rituale quello che, approssimandosi la fine dell’anno, attira l’attenzione e qualche polemica con le classifiche del Sole 24 Ore sulla qualità della vita. Classifiche che quest’anno hanno visto sul podio Belluno, insieme ad Aosta e Sondrio al secondo e terzo posto, e che ormai tradizionalmente vedono Varese aggirarsi a metà classifica: l’anno scorso al 52° posto quest’anno al 57°. Lontani comunque dalle parti alte ed anzi agli ultimi posti, seguita solo da Rovigo, Imperia e Pavia se ci si ferma alle città del Nord Italia.
Nelle sei classifiche di settore Varese, intesa come provincia, ha il miglior risultato con il 16° posto nella “Ricchezza e consumi” e quello peggiore con il 75° in “Cultura e tempo libero. Sorprende anche il 67° in “Lavoro e innovazione” così come il 60° per “Ambiente e servizi”. Un’amara mediocrità, verrebbe da dire.
Le statistiche hanno ovviamente l’ambizione di tradurre in un dato numerico una realtà composta di molti fattori diversi, ma insieme hanno la caratteristica di misurare solo quello che può essere tradotto in cifre comparabili e verificabili. A questo punto c’è innanzitutto un dato da non mettere in secondo piano. La provincia di Varese ha alcune caratteristiche che la rendono difficilmente paragonabile con la maggior parte delle altre realtà italiane. Alla periferia di Varese c’è per esempio una grande città come Milano che è un punto di riferimento per teatri, concerti e librerie. E vicina, a due passi, c’è la Svizzera che attira decine migliaia di lavoratori e che costituisce nello stesso tempo un unico mercato anche per il commercio al dettaglio. E sono peraltro queste due realtà, Milano e Lugano, che spiegano perché Varese sia al 41° posto per i depositi bancari con poco più di 17mila euro ad una distanza abissale dal capoluogo lombardo che supera quota 73mila. Guardando con la lente queste classifiche (che si possono consultare anche con una mappa interattiva sul sito del Sole24ore) si possono trovare molti spunti di riflessione con un invito a fare sempre meglio, ma non si può non rilevare come la vera realtà della provincia di Varese resti nascosta dietro la giungla delle cifre e non possa essere messa in risalto da chi si ferma a misurare con il centimetro anche i battiti del cuore.
Le cifre misurano la quantità, non possono spingersi fino a valutare la bellezza di un paesaggio, la salubrità del clima, la cordialità delle persone, la generosità costruita sul volontariato altrettanto generoso, quanto discreto. Le cifre non possono valutare l’etica dell’azione economica, la responsabilità sociale, il welfare spontaneo, l’attenzione verso i meno fortunati.
Restano tuttavia alcune domande che non possono restare senza risposta. Perché Varese che ha due università di eccellenza è al 61° posto per numero di laureati? Perché Varese che ha infrastrutture all’avanguardia e le più moderne imprese nel settore delle telecomunicazioni deve accontentarsi del 65° posto nella diffusione della banda larga? Perché Varese che ha un’imprenditoria che ha saputo superare la crisi e ristrutturare le aziende deve trovarsi al 102° posto, su 110, nel numero di imprese registrate ogni cento abitanti?
Le ragioni si trovano sicuramente nelle pieghe dei metodi applicati per redigere queste statistiche che possono comunque sicuramente superare tutti i controlli di qualità. Resta tuttavia il fatto che la fotografia complessiva che emerge non sembra rendere ragione della realtà. Una realtà che ha sicuramente tanti problemi, ma che come qualità della vita non ha nulla da invidiare ad altre grandi ed onorabili città.
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