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Sport

ROBUR BELLA E DIMENTICATA

ETTORE PAGANI - 23/11/2017

roburRobur et Fides: tira aria di campioni in erba! Evidentemente di nuovo sotto il sole: è la solita balsamica aria che tutto il basket dovrebbe respirare a pieni polmoni. C’è qualcuno che, per passatempo, alza le mani per segnare 43 punti in una sola partita e poi ci sono gli altri: un autentico piacere vederli all’opera. C’è il pubblico che batte le mani e Vescovi che se le frega.

Non è una novità, si diceva. Quella, attuale invece, viene dall’ormai radicata moda tutta dalle squadre maggiori; più che una moda un obbligo: quella di ignorare, assolutamente, il lavoro di questi giovani. Quel lavoro che negli anni passati, in piena logica, veniva assorbito dalle società maggiori come miele che cola. Era una danza deliziosa. In punta di piedi quelli che del vivaio roburiano meritavano attenzione passavano ad altre società di maggior levatura. Vi passavano non certo per essere inseriti solo nei vivai delle formazioni destinatarie ma per entrare, immediatamente, come titolari con un volo senza rischio perché erano già stati “osservati” e conosciuti nelle loro capacità e, guarda caso, con tutt’altro che esosi impegni economici.

Inutile fare nomi che orami tutti conoscono. A queste operazioni sostanzialmente collaudate prima del concretarsi per essere già stato oggetto di esame è posto il veto. Almeno così si dovrebbe pensare visto quel che di fatto capita.

Se – come pare – di veti non si può parlare, non resta altro che fare posto a un illogico sistema che regola da qualche anno il nostro campionato.

Si usa, insomma, ora fare posto a stranieri nella maggior parte dei casi mai visti all’opera dai tecnici delle nostre squadre destinatarie riservandosi, la scoperta della sorpresa all’apertura dell’uovo di Pasqua e non sempre la sorpresa è gradita.

Vero è che anche ai tempi si verificavano gli approdi al nostro basket di stranieri, ma per lo più fatti oggetto di accurati pre-esami e, comunque, inseriti in quelle stesse squadre dove già militavano atleti indigeni.

Si vuole sottolineare, insomma, il non senso di un tralasciare il fatto locale in sé per fare posto a quello di importazione forse ritenuto più adatto al tipo di basket che ora si gioca anche in Italia sul modello di quello statunitense.

Se così fosse lasciateci esprimere un nostro parere che preferisce il gioco impostato tutto sul ragionamento e sugli schemi rispetto a quello attuale fatto sicuramente di modelli che si riassumono esclusivamente su corsa e tiro.

Non si capisce perché, insomma, si sia preferito accantonare il primo modello per lasciare il posto al Made in Usa.

Chi ce lo ha fatto fare?

Gli statunitensi neppure si sono mai sognati di sostituire il loro football con il nostro gioco del calcio: decisamente proseguono nella loro strada. E perché non avremmo potuto farlo altrettanto noi con il basket?

Non c’è logica che tenga.

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