Riporto un’esperienza personale di questi giorni di un amico africano-genovese. Anche il linguaggio è originale e non ho voluto modificarlo per renderne la drammaticità.
“Il pomeriggio era grigio, senza sole e sembrava riflettere l’angoscia che pendeva in quei pochi metri quadrati una delle stanze funebri Campo Santo.
Centinaia di persone esternavano sgomento per la perdita di Felipe Doss, giovane leader attivista del movimento LGBT, e studente di colore che avevano violentemente ucciso come risultato della violenza urbana di questo sistema di esclusione che Doss si dedicò a combattere.
Funerali di un giovane nero, marginale e gay, che è venuto dalla campagna per studiare nella capitale ed è stato ucciso, solo a 26 anni, a seguito di violenza urbana, o di razzismo (dove le vite nere non contano), o di omofobia, per i criminali. Sono anche vittime della violenza di questa società dei consumi che ci viene imposta e che voleva rubare il tuo cellulare.
Il fatto in sé provoca grande commozione, ma ieri non si parlava di abbassare l’età penale, per fare la giustizia, nessuno ha sostenuto che la colpa era il traffico di droga, non ha previsto di parlare dello Statuto di Abrogazione per ‘brave persone’. Non c’era dubbio sui diritti umani, e anche in quel momento, anche con tutta la tristezza, ho potuto vedere che seguiamo la strada giusta: la nostra solidarietà e la semina dei nostri sogni è in grado di superare la barbarie che insiste su di noi.
Il discorso che ha fatto eco era “Uno è buono, DOSS è troppo,” in memoria del percorso e in riferimento alla costruzione politica, breve e intensa di questo giovane.
In mezzo a tutto il trambusto, la sofferenza e l’indignazione, una domanda mi è apparsa sopra la testa: cosa può essere più grande del dolore in questo momento?
Immediatamente hanno notato che la solidarietà e la fiducia del movimento si è manifestata con intense espressioni di affetto scambiate tra tutti, siano essi studenti, segretari o segretari di stato, sostenitori, collaboratori, vicini di casa, gli attivisti, ci sono stati tutti umani a prendersi veramente cura l’uno dell’altro.
Doss nel suo ultimo atto politico ha riunito persone provenienti da diverse espressioni del movimento per l’eguaglianza, e ho potuto vedere chiaramente che come “Doss, siamo troppo” quando siamo insieme veramente e, in solidarietà, ai dolori delle nostre anime confluire in trincea combattere per un mondo più equo.
Ieri ha avuto luogo il funerale di un giovane leader che ha resuscitato l’elegia, con la sua risata facile e gustosa, la sua voce morbida e la grande energia, unendo in questo modo le persone a credere che i buoni sentimenti sono sempre possibili. In me ancora negli occhi l’orgoglio del giovanotto Lucas Sotero, che ha cantato un angolo Yoruba in cui ha chiesto che lo spirito del defunto semini buona energia in tutto il mondo.
Come eredità, Felipe Doss ha lasciato l’unione dei suoi compagni. Quindi ogni volta che scriviamo – FELIPE DOSS PRESENTE – questa presenza è la rappresentazione della nostra unità, forza e lotta per la costruzione di un altro mondo possibile”.
Parole di Gabriel Teixeira, psicologo sociale, attivista nero e LGBT Membro del collettivo di entità Black / CEN
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