Sentiamo spesso parlare di umiltà e qualcuno pensa che si tratti del contrario della superbia. Nella vulgata comune l’umile è chi vola basso, chi non fa mai pesare il proprio pensiero, chi si sottomette ai vari poteri che circolano in abbondanza nel nostro paese, chi vive in silenzio, accettando tutte le spade di Damocle che cadono sulla sua testa e su quella degli altri, è una forma di sottomissione benedetta, una sorta di vocazione all’autodistruzione.
Ma in nome di che cosa? Credo che onestamente una civiltà così concepita sia proliferata in abbondanza in periodi storici passati, quando il volere e l’intelligenza di pochi s’ imponeva a una moltitudine assolutamente priva di una cultura introspettiva e valutativa della realtà, costretta a obbedire sempre, anche quando le condizioni di vita erano insopportabili, anche quando avrebbero voluto manifestare in modo rispettoso e libero il loro punto di vista, il loro sentirsi parte di una grande realtà umana.
Per moltissimo tempo una certa morale si è impossessata della vicenda, creando le basi per una servile sottomissione di natura aristocratica, dove il ricco e l’uomo di potere avevano sempre ragione e il povero doveva attendere tempi migliori per veder riconosciuta la sua degnissima dignità, il suo essere parte di qualcosa di più grande di quello che gli avevano fatto credere di essere e di possedere.
L’umile è diventato il simbolo di una vittoria, ma su che cosa? In realtà la parola umile, nella sua radice latina, non parrebbe essere sinonimo di sudditanza o di sottomissione cieca alla volontà di qualcuno ma, forse, il desiderio umano di entrare fino in fondo nella fertilità della vita, in quel terreno in cui le radici fanno scorta di acqua e di sali minerali da portare al tronco e ai rami della pianta. Dunque nella radice latina humus si può incontrare qualcosa che assomigli di più a chi è veramente umile, cioè a quella persona che avendo la capacità di andare a fondo nei problemi, ha anche quella di coglierne gli aspetti più veri e interessanti da offrire non come verità rivelata, ma come elemento di analisi e di discussione.
Andare in profondità è un condizione importante, soprattutto oggi, in un mondo in cui rigurgiti di pianificazioni di natura politica tentano di appiattire per riconfermare il diritto a una supremazia economica, morale e intellettuale. Andare in profondità non è un esercizio di auto gratificazione, ma il tentativo, anche a volte in una forma parzialmente autobiografica, di far apparire le diverse sfaccettature della realtà di cui siamo figli, ma che vorremmo onestamente cambiare.
Dunque credo sia importante dare all’umile la patente di convinto assertore del miglioramento sociale, di una società dove educazione e formazione tornino ad avere un ruolo importante, per non finire preda di una morte che viene sbattuta in faccia per spegnere l’ansia e la bellezza di quella vita che alimenta il genere umano e di cui ne rimane la voce più alta e più bella.
L’umiltà, quella vera, esige coraggio, capacità di essere dentro la storia, di stabilire termini di confronto, anche sulla base di convinzioni personali a confronto. La storia umana è anche questa, fatta di gente che non si è mai fatta serva del potere ma che, non per questo, non ha una sua visione e missione da compiere per cercare di dare un senso alle cose di questo mondo.
Di solito la superbia è figlia del potere, quello che si autodetermina o che viene legittimato in virtù di intrighi, trafile, passaggi di proprietà, di cariche e di incarichi, di onorificenze ed altro. Il potere ha sempre una base d’appoggio, qualcosa con cui rafforza la sua voglia di dominare, anche quando parrebbe allo stremo delle sue forze. Mai fidarsi, perché è proprio quando ci s’immagina che un potere abbia capito la sua storia, che improvvisamente si accende e richiede con prepotenza e tracotanza la sua fetta di dominanza sui cuori e sulle coscienze.
A volte la libertà diventa più forte quando è stata schiacciata per troppo tempo, quando è stata calpestata da chi si riteneva il leader, capo indiscusso, da chi si arrogava il diritto della vita e della morte delle persone. La libertà vera è un’altra cosa, è discutere apertamente e in modo autentico sugli errori commessi, sulle iniquità compiute, per cercare di costruire un mondo a misura d’uomo, dove ciò che conta non è l’arroganza di un criticismo interessato, di una mai celata vocazione alla conservazione del potere personale, ma la capacità di dimostrare che non possiamo permetterci di prendere in giro la persona con la qual condividiamo un cammino, perché anche quella persona, la più vituperata o antipatica che sia, è stata fatta a immagine e somiglianza di Dio e come tale ha il diritto di poter vivere con dignità il suo pensiero, magari dopo che la vita gli ha riservato una serie infinite di rappresaglie, negazioni e infami destrutturazioni.
Aiutiamo chi ha voglia di continuare a mantenere una sua coerenza, giusta o sbagliata che sia, ma sempre frutto di quella libertà che gli è stata consegnata per dare la possibilità ad altri di avere un confronto in più con la propria e con quella del mondo che ci ruota attorno.
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