Quando a scuola il riccio, la castagna, la nespola (non quella giapponese, ma quel frutto piccolo e appiccicoso dei nostri boschi, racchiuso in un guscio croccante) lasciavano il posto sul quaderno ai pupazzi di neve, agli abeti alla stella cometa, si cominciava ad aspettare l’arrivo di Gesù Bambino.
Segnali, in città, non ce n’erano molti: qualche luminaria nelle vetrine del centro; in cartoleria, le scatole di palle di vetro messe in bella mostra sul bancone, lontane dalle nostre manine pericolose; le statuine di gesso per il Presepio; le carte-regalo in fogli; i nastri colorati; e, in pigne ordinate, i calendari dell’Avvento e le letterine al Bambin Gesù.
Niente letterina, niente regali. E data l’importanza, non si trattava di carta da lettera qualunque. Erano fogli rigati formato quaderno, di due o quattro facciate, spesso smerlati, con incrostazioni e ghirigori argentati ovunque: sugli angioletti, le stelline, le campane, la paglia della mangiatoia, le corna dei cerbiatti (non renne, proprio cerbiatti) e la lanugine delle pecorine in adorazione davanti alla capanna.
Di slitte e Babbi Natale, non ne ricordo proprio.
Il guaio era che questa polvere luccicante e argentea abbandonava con entusiasmo la carta, per sparpagliarsi sul pavimento, sulle mani, sui golfini, sul divano. Per conservarne almeno un’idea, la letterina andava scritta in fretta e senza maneggiarla troppo. Il che voleva dire compilare un numero consistente di “brutte”, con cancellature e ripensamenti, consulti col fratello e la mamma, decisioni eroiche per non apparire esosi al Bambinello che avrebbe letto e accontentato – in caso di bontà documentata – i nostri desideri.
Scritta in bella grafia – magari con la stilografica – imbustata, consegnata ai genitori per la spedizione.
E cominciava l’attesa. Nulla trapelava, da nessun adulto. Perfino alla sera della Vigilia – noi si festeggia il 25 – si andava a nanna con l’emozione e l’incertezza dell’indomani. E se Gesù Bambino non fosse passato? E se non fossimo stati abbastanza buoni? E se non avesse letto bene?
E sì che la lista era tanto corta e dimessa, che a leggerle oggi, queste poche letterine sopravvissute, fanno tenerezza: un fucile giocattolo con la cartuccera, una modellino della Ferrari, un libro del far West, un sacchetto di soldatini (mio fratello); un peluche della Steiff (quelli dell’Innovazione di Lugano), un cerchietto con gli strass, un romanzo di Salgari, un golfino bianco (per me). Modestia ricompensata con la sorpresa di misteriosi pacchi in soprannumero, sotto l’albero.
Magica attesa di una felicità promessa ma non garantita, immaginata ma incerta, fiduciosa ma palpitante. Oggi perduta ahimè tra le corsie degli iper, dove i bimbetti duepuntozero additano misurano pretendono contrattano. E i genitori colpevolmente assentono.
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