Se qualcuno ha pensato di poter liquidare l’esito del voto siciliano come fatto puramente “locale” ha dovuto rapidamente ricredersi. Non a caso, fin dal giorno dopo, tutti i partiti e i soggetti in campo per le prossime elezioni politiche hanno cambiato toni e agende.
Il centrodestra, vincitore materiale della prova, ha ovviamente enfatizzato il risultato pensando di poter replicare quel 40% anche a livello nazionale.
Altrettanto entusiasti e motivati sono apparsi i dirigenti del Movimento Cinque Stelle il cui candidato ha conquistato il 35% e sono diventati primo partito staccando nettamente FI e PD.
Clima opposto invece nel campo del centrosinistra e in particolare tra coloro che avevano governato la Sicilia nell’ultimo quinquennio. Qui, tra i protagonisti della disfatta, era impossibile stiracchiare il voto a proprio piacimento. Tutt’al più si poteva momentaneamente accantonare l’aria dimessa e i musi lunghi, ma solo per rimproverarsi vicendevolmente torti e responsabilità.
Al di là delle interpretazioni più o meno strumentali c’è però un nesso tra voto siciliano e voto nazionale? Certo che c’è.
Per coglierlo correttamente però, bisogna evitare letture semplicistiche che possano stabilire tra le diverse elezioni automatismi annidati solo nella fantasia di chi li propone.
Il voto siciliano, come qualsiasi altra consultazione elettorale, aiuta a comprendere umori e tendenze di fondo che riguardano l’intero corpo elettorale.
Prendiamo ad esempio il problema dell’astensionismo. Da alcuni anni assistiamo alla sua crescita costante (salvo rare eccezioni). Un fenomeno particolarmente inquietante e preoccupante in generale. Ma ancora di più quando al voto sono interessate istituzioni che dovrebbero essere le più “vicine” ai cittadini. Un segnale di distacco e di sfiducia che coinvolge tutti i partiti e gli schieramenti, spesso volutamente ignorato anche perché rivelatore della fragilità delle vittorie o della pesantezza delle sconfitte. Se, come nel caso Sicilia, vota il 47% degli aventi diritto è un fatto grave in sé, lo è ancora di più se si pensa che chi ha vinto con il 40% rappresenta realmente solo 18 elettori su cento (in termini assoluti stiamo parlando di 830.821 oti su 4.661.123 elettori).
A maggiore ragione ci sarebbe da chiedersi chi rappresenterà realmente la futura “maggioranza “ di OSTIA se il dato del primo turno (un terzo degli elettori al voto) sarà confermato nel secondo.
Un altro elemento su cui riflettere è l’astensionismo oscillante, cioè la non partecipazione al voto che di volta in volta colpisce uno schieramento o l’altro. Al punto da risultare determinante sull’esito stesso della consultazione.
Il problema di un astensionismo così rilevante ed esteso può essere risolto solo interrogandosi sulle cause che l’hanno prodotto e che sono tutte politiche. Nel senso che attengono alla “percezione” che i cittadini hanno della politica e delle istituzioni. Una “percezione” strettamente connessa alle condizioni materiali di ciascuno e determinata dalle risposte fuorvianti date dalla politica, dalle istituzioni, dai partiti. Ormai la “rappresentatività” si è ristretta talmente tanto da generare nei comportamenti elettorali – e non solo – fenomeni patologici. Negli anni passati si è pensato di colmare il divario partecipativo concentrandosi ossessivamente sulle norme elettorali. Norme finalizzate spesso a trasformare minoranze sempre più esigue in “solide” maggioranze di governo. Una scelta che ha contribuito a restringere di fatto la partecipazione e gli spazi democratici consegnandoli sempre più nelle mani delle tifoserie o, come dimostra anche il caso siciliano, di gruppi portatori di voti vendibili al migliore offerente.
Da questa crisi di legittimazione che colpisce le basi stesse della nostra democrazia si può uscire solo con una politica di cambiamento capace cioè di rimettere sostanzialmente in discussione contenuti e metodi seguiti fin qui. Una politica cioè capace di ripartire dai bisogni e dalle domande dei cittadini e non da calcoli elettoralistici e di potere. Una politica capace di rileggersi e attuare l’articolo 3 della nostra Costituzione. Una politica capace di realizzare un circuito virtuoso tra società e istituzioni e, soprattutto, non più supina nei confronti dei poteri forti vecchi o nuovi che siano. Partendo da qui anche la nostra prossima consultazione regionale e quella nazionale potranno avere un segno completamente diverso dal passato stimolando l’impegno e la presenza di quanti finora si sono rifugiati nell’astensionismo.
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