E bravi, i signori dell’informatica a livello mondiale, i guru della connessione tramite social, gli esperti al top, coloro che hanno rivolto uno sguardo di compatimento a noi comuni utenti della rete, preoccupati per il futuro di figli e studenti, a noi che nutrivamo qualche dubbio sugli effetti a lunga scadenza dell’uso smodato di tali strumenti. Ammettono oggi, quei guru, però sommessamente perché un po’ si vergognano, che ai propri figli concedono un tempo limitato, accompagnato da una valanga di proibizioni: troppi i danni che derivano da un’iperconnessione da cui i giovani vanno preservati durante l’infanzia e l’adolescenza!
Riassumo: lor signori non immaginavano neanche lontanamente le conseguenze del tempo trascorso davanti agli schermi dei diversi media però hanno provveduto, e non da oggi, a creare intorno ai loro figli un’efficace cintura di sicurezza. Nel frattempo, i nostri ragazzi sono arrivati a superare la soglia minima consentita e non pochi sono caduti vittima dei nuovi strumenti comunicativi.
Brutta la frase “Noi lo avevamo detto”. Ma noi avevamo intuito che c’era un pericolo educativo nell’invadenza dei nuovi media, e questo senza essere acuti profeti ma solo persone dotate di buon senso educativo, oltre che di buona memoria. Sapevamo vedere l’analogia con l’abuso, già noto, che si era fatto nei decenni del dopo boom economico del mezzo televisivo.
I lunghi anni di televisione malsana, a base di cartoni animati di dubbio gusto, di fiction e di programmi scadenti, con le abbuffate di Grandi Fratelli e di Isole dei Famosi, ci avevano ben istruito sugli effetti della troppa TV.
Ricordate il saggio “Cattiva maestra televisione”? Il filosofo Karl Popper aveva avvertito su quanto la violenza presente nei vari programmi fosse capace di indurre i più giovani e i più deboli ad adottare atteggiamenti antisociali. Per Popper una scena di violenza vista in televisione aveva la stessa portata condizionante della violenza effettiva che poteva essere vissuta realmente all’interno delle mura domestiche.
Interessante rileggere oggi quel pamphlet degli anni ’90.
Proviamo a sostituire la parola TV con il termine “social network” dato che oggi la TV come mezzo ha perso
attrattiva per le nuove generazioni, e lo schermo davanti a cui i ragazzi passano il tempo è diventato quello dello smartphone, del tablet o del PC di casa. Navigano in Internet, stanno su Facebook, Twitter, Instagram, Whatsapp eccetera (lungo l’elenco che si aggiorna di mese in mese), si abbeverano alle notizie della rete, condividono con amici e conoscenti foto e video, scaricano musiche, si inviano messaggi scritti o vocali, e tutto questo restando connessi per un numero imprecisato di ore.
L’abuso dei social network rappresenta uno dei nuovi problemi educativi: dopo anni di diffusione a tappeto dei vari media con i relativi social network, riconosciamo l’iperconnettività come un vero pericolo. Capiamo che per i ragazzi il cellulare è una protesi comunicativa che consente di non restare mai soli. Stando alle statistiche, il primo apparecchio arriva a nove anni e questo comporta crescere imparando ad essere sempre connessi, sempre in contatto con amici e familiari; una delle conseguenze è che si considera lo star soli, cioè disconnessi, un comportamento socialmente non accettabile.
Stupefacente oggi sentire, e leggere, che a rivoltarsi contro le loro stesse creature, sono i creatori.
Ultimo in ordine di tempo è Sean Parker, inventore del social Napster e collaboratore del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg. Si è definito un “obiettore di coscienza” delle piattaforme social, che vede ridotte a mezzi di offesa della vulnerabilità umana a causa dei loro meccanismi che creano dipendenze, esattamente come la droga. Il pentito Parker aggiunge che per il fruitore bambino ogni “like” assume il peso di una piccola dose di dopamina.
Per Evan Williams, co – creatore di Twitter, “Internet si è rotto, si è incamminato verso un percorso buio”. Come dargli torto vedendo che si postano su Facebook, e in diretta, pestaggi, suicidi o assassinii?
Infine Jerry Kaplan, pioniere della scienza dei computer, ha confessato, in una lezione magistrale a Roma, di odiare i social media che considera una “distrazione”.
Bene fa il direttore di un quotidiano nazionale che, quando si reca nelle scuole come esperto di mass mediologia, per prima cosa racconta ai ragazzi come si comportano gli inventori dei social network con i propri figli: a letto alle nove, come ai tempi di Carosello, e via il cellulare dal comodino. Poi poche ore al giorno di connessione, e lunghi periodi di disintossicazione. Almeno a casa loro!
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