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Economia

VICOLO CIECO

GIANFRANCO FABI - 10/11/2017

La ex sede della Popolare di Vicenza

La ex sede della Popolare di Vicenza

L’onda lunga della crisi di una parte del sistema bancario italiano è arrivata anche a Varese. La filiale della Banca popolare di Vicenza, che era stata inaugurata qualche anno fa in pieno centro all’angolo tra via Sacco e via Veratti, ha chiuso i battenti dopo che tutte le attività dell’istituto sono state rilevate da Banca Intesa. Anche le filiali di Venetobanca, presenti in tutti i grandi centri della provincia, sono passate sotto le nuove insegne.

Per i risparmiatori nessuna perdita finanziaria: solo la necessità di prendere confidenza con le procedure della nuova banca. Chi invece, ma probabilmente pochi a Varese, aveva investito nelle azioni dei due istituti veneti deve mettere in conto la perdita di tutto il capitale.

Vi sono buone ragioni per credere che la chiusura delle due banche venete possa costituire l’ultimo capitolo di una crisi del sistema bancario che ha avuto che, è bene sottolinearlo, alcuni punti di particolare difficoltà, ma che nel suo complesso è rimasto sostanzialmente solido e affidabile. Le difficoltà sono state quelle delle quattro banche andate in liquidazione alla fine del 2015 (Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Chieti e Cassa di Ferrara), del Monte dei Paschi di Siena, della Cassa di risparmio di Genova e, appunto, delle due banche popolari venete. Altre crisi di piccoli istituti sono state risolte attraverso fusioni e acquisizioni senza particolari riflessi esterni.

In tutti questi casi comunque le procedure messe in atto dal Governo in stretto accordo con la Banca d’Italia, che nel campo del credito ha sempre dettato politiche e strategie, hanno evitato particolari riflessi sul sistema economico in un momento già di forti difficoltà. Resta tuttavia il fatto che negli avvenimenti che hanno interessato le banche in difficoltà è emerso un intreccio perverso tra incapacità di gestione, interessi politici, ostacoli alla vigilanza, pratiche illegali, falsità nelle comunicazioni sociali. E per queste ragioni, sotto la spinta dello stesso Partito Democratico, è stata varata una commissione d’inchiesta parlamentare che è al lavoro per mettere in luce le cause dei dissesti, individuare i responsabili, fare chiarezza su vicende tradizionalmente avvolte da riserbo e discrezione.

Nella crisi delle banche tuttavia non hanno avuto rilievo solo elementi interni ai singoli istituti. I problemi sono stati determinati in maniera importante dalla recessione che ha pesantemente colpito il sistema produttivo italiano dal 2008 in poi. C’ è stata la chiusura di molte imprese, i cui debiti verso le banche sono diventati inesigibili, e le difficoltà sociali che hanno costretto molte famiglie a non onorare gli impegni, per esempio le rate dei mutui. Gli istituti più efficienti sono riusciti ad assorbire le difficoltà che invece hanno colpito le banche peggio gestite.

La commissione d’inchiesta ha tuttavia davanti a se un percorso particolarmente difficile. Non tanto perchè si tratta di far luce su comportamenti individuali, sui quali sta procedendo la magistratura con le sue indagini a cui seguiranno regolari processi, quanto perchè emerge sempre più il rischio che si cerchi soprattutto un capro espiatorio da offrire alla pubblica opinione.

La sconcertante vicenda del rinnovo del Governatore della Banca d’Italia è stata sintomatica. È avvenuto infatti che il partito che sostiene in Governo ha fatto approvare, in modo peraltro del tutto irrituale, una mozione in Parlamento per chiedere un avvicinamento al vertice dell’istituto, mozione poi completamente disattesa, e giustamente, dallo stesso Governo.

In una dimensione come quella del credito, fondamentale, e delicata, per lo sviluppo economico del Paese si sono inseriti così elementi di polemica politica, di resa dei conti, di accuse strumentali.

Sul tema delle banche la politica si sta dimostrando in questi ultimi anni profondamente inadeguata. Con passi sprovveduti e controproducenti come la riforma delle banche popolari, varata in fretta e fuori con decreto e voto di fiducia all’inizio del 2015, riforma poi bloccata dal Consiglio di Stato. Riforma che peraltro non è servita ad evitare la crisi delle banche venete, crisi causata da ben altri fattori rispetto alla forma di banca popolare. Ben altra capacità di visione e di gestione avevano dimostrato negli anni ’90 del secolo scorso Carlo Azeglio Ciampi e Giuliano Amato con la loro ben più complessa, ma ben orchestrata riforma delle Casse di risparmio con l’istituzione delle fondazioni bancarie. Quella riforma ha permesso e sollecitato la nascita di colossi di livello europeo come Unicredit e Banca Intesa, la riforma delle popolari invece ha messo un quarto del sistema bancario italiano sotto il controllo dei fondi d’investimento inglesi o americani.

La politica poi ha alcuni conti aperti che difficilmente comunque saranno chiariti. C’è la vicenda di Banca Etruria, con il ruolo controverso del padre di Maria Elena Boschi, ma c’è soprattutto quella del Monte dei Paschi di Siena, gestito per anni per procura dagli esponenti locali del partito democratico e salvato dal fallimento solo grazie all’intervento diretto dello Stato.

Va certamente bene cercare errori e responsabilità, come sta facendo la commissione parlamentare, ma i politici qualche “mea culpa” dovrebbero pure farlo.

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