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Parole

IL RAZZISTA

MARGHERITA GIROMINI - 03/11/2017

razzismoBei tempi quelli in cui sdoganare significava unicamente dover attraversare la barriera di un valico nazionale come il Gaggiolo per raggiungere Lugano o anche solo il primo distributore di benzina al di là.

Oggi che sdoganare ha assunto anche il significato di far uscire allo scoperto una parola prima relegata al linguaggio familiare o a quello della curva sud a causa della sua palese scorrettezza, il verbo mi richiama spesso qualcosa di spiacevole, sia sul piano linguistico sia su quello culturale.

Abbiamo sdoganato molte parole che prima la decenza o la buona educazione tenevano nascoste e le abbiamo inserite, cioè sdoganate, nel linguaggio comune, rese disponibili per imitazione anche ai piccoli che, si sa, imparano ripetendo ciò che sentono o dai compagni di giochi o dai componenti la cerchia familiare.

Mi trovavo all’interno di una sala da tè con un’amica. Scambiamo qualche parola con un simpatico anziano signore seduto accanto a noi. Al locale accede un giovane di colore (mi scuso per la precisazione sul colore della pelle ma mi serve per il prosieguo) che insiste per venderci una rosa.

L’amica gentilmente gli spiega che le rose le donne non le devono acquistare perché si aspettano di riceverle come omaggio dagli uomini.

Il nostro vicino, improvvisamente silenzioso, non alza neppure la testa dal giornale ma quando il venditore di rose esce, si rivolge a noi affermando che lui “a quelli” nemmeno gli parla perché è “razzista”. Sì, sono razzista, dice forte e chiaro, lo ripete: sono razzista, e con questo?

Io allibisco, l’amica prova a ribattere che, insomma, essere razzista non è proprio una bella cosa, ma il signore, prima simpatico, ora si rituffa nella lettura del suo quotidiano. Che non è quello locale, presente nella maggior parte dei bar cittadini, ma il “suo” quotidiano a tiratura nazionale. Per rispetto alle libertà di pensiero e di opinione non riferirò quale sia la testata ma, poiché seguo le rassegne stampa radiofoniche, la riconosco, ben nota per i toni impattanti dei suoi titoli e per le modalità con cui affronta determinate tematiche.

Dunque si può essere razzisti e non provarne vergogna? Anzi, si può affermarlo con decisione?

Una volta le persone si trinceravano dietro lo schermo della frase udita tante volte “io non sono razzista però…”. E dunque dichiararsi razzisti avrebbe lo stesso peso del definirsi cattolico o protestante, di destra o di sinistra, conservatore o progressista.

Ho sempre ritenuto che essere razzisti fosse una scelta personale così poco condivisibile sul piano culturale da dover essere celata, una scelta che era meglio non sbandierare, e che, ancor meno, potesse essere motivo di vanto.

Perché alla base dell’antirazzismo sta la considerazione che gli uomini sono tutti uguali, concetto che arriva dalla Rivoluzione francese, poi ripreso nelle Costituzioni degli stati nazionali, anche dal neonato Regno d’Italia che nel lontano 1861 adottò in buona parte lo Statuto Albertino che già conteneva tale principio. Vero è che spesso i diritti di base dell’uomo restano affermazioni più teoriche che reali ma sono ormai divenute il fondamento della società civile, la piattaforma su cui poggia ogni convivenza civile e sociale.

Sul significato di razzismo poi, ci si può soffermare. Ma che cos’è mai la razza? Di quali animali stiamo parlando? Delle mucche pezzate o delle ovaiole livornesi?

Il concetto di razza va cancellato dai testi di antropologia perché senza fondamento scientifico. Prima ancora lo hanno affermato i filosofi, i giuristi, gli statisti, gli studiosi delle scienze umane, sociali e religiose.

Gentile rispettabile anziano signore incontrato sabato scorso in una pasticceria del centro città, io non le ho risposto sia per lo sconcerto sia per il rispetto che devo alla sua veneranda età.

Ipotizzo che abbia dei nipoti, suoi o acquisiti. Mi auguro che la sua entusiastica adesione al concetto di razzismo non sia trasmissibile come un’eredità materiale. I ragazzini potrebbero credere che essere razzisti sia solo un aggettivo del loro amato nonno che, insieme a quella qualità ne possiede altre, come la bontà, l’affettuosità e la generosità.

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