Un viso tutto lombardo: non saprei definirlo in altro modo, quel volto – quanto somiglia al mio milanesissimo papà da giovane! – a metà tra il sorriso e la pena, il naso importante, lo sguardo deciso e pensoso, che la copertina mi offre come preludio alla sua più recente biografia. Non la prima, certo: ma la prima scritta da due donne, con quella sensibilità e tenerezza che altri autori, sacerdoti tutti, non avevano ancora saputo esprimere.
Giuseppe Ambrosoli, classe 1923, fu medico (prima) e sacerdote (poi), e missionario (per la vita). Perché scrivere ancora una volta di lui, scomodando pure il direttore di Repubblica e un mostro sacro come monsignor Ravasi? Solo perché l’anno scorso papa Francesco lo dichiara Venerabile – primo step verso la santità?
O piuttosto perché Giuseppe, nei cuori di chi l’ha conosciuto, amato come fratello, come zio, come maestro, come collega, come chirurgo d’eccellenza, come padre affettuoso, come organizzatore sagace è vivo oggi, a trent’anni dalla morte; vivo come nel suo ospedale di Kalongo, e nella sua scuola per Ostetriche, la migliore, pare, di tutta l’Africa?
Nato nel Comasco, penultimo di otto fratelli in una famiglia religiosa, colta e con il bernoccolo dell’ industria, Giuseppe scampa da bambino a una gravissima malattia, poi salva miracolosamente un ditino tranciato a metà: coincidenze che la fede di mamma Palmira legge come segni certi di un destino importante. E infatti, appena laureato, la decisione grande della vita: bussa alla porta del convento comboniano di Rebbio,” Volevo sapere se nel vostro istituto un medico può diventare sacerdote e se un sacerdote può continuare a fare il medico…”.
È così che sbarca nel nord Uganda, a Kalongo, nel 1956: il crocevia dei secolari traffici di avorio, spezie, e soprattutto schiavi, sotto il monte Orét, la montagna dei venti. Che i Comboniani avevano deciso di trasformare in un luogo/simbolo di resurrezione e liberazione, costruendo un ospedale.
“Salvare l’Africa con gli Africani” diceva Daniele Comboni; e ancora “Nigrizia o morte: l’ idea geniale ante litteram, di affidare il destino dell’Africa agli africani. Giuseppe fa suoi questi programmi di vita, li trasforma in muri, letti, strumenti chirurgici, scuola per infermiere, medicine, e soprattutto in un’accoglienza e una dedizione sconfinate, insieme con una totale fiducia negli africani, che ritiene capaci di portare avanti la sua opera. Ma consapevole che “le gambe devono essere solide per camminare”, accetta e sollecita anzi, con tanta umiltà, gli aiuti dalla famiglia, dal paese, dall’Italia.
L’ultimo capitolo del suo cammino ha le stigmate di una crocifissione: la guerra, l’abbandono forzato dell’ospedale, lo sfollamento di malati e personale, la faticosa ripresa del lavoro, la salute trascurata, la crisi che lo porta a una morte quasi improvvisa. Dopo, un ultimo spettacolare miracolo: l’ospedale di “Brogioli”, come lo chiama la gente, pur abbandonato, non viene saccheggiato né distrutto, perché quella stessa gente lo difende e lo protegge. E al quietarsi dei combattimenti, i Comboniani lo possono riaprire, prima con gli ambulatori, poi con la scuola infermiere, diretta da una suora ugandese.
E a chi toccherà, dopo diversi sacerdoti, sostenere la ripresa di quest’opera ? A un medico varesino, Filippo Ciantia, già missionario in Uganda per vent’anni, che nel 2015 viene chiamato dalla nipote di padre Giuseppe alla direzione dell’ospedale. Sue sono le lettere commoventi e rivelatrici che scrive alla famiglia nei due anni di lavoro a Kalongo, ricche di aneddoti e volti, che chiudono la narrazione di questa incredibile avventura.
Ma la storia di Giuseppe e del suo ospedale continua, e ciascuno di noi può farne parte: grazie al lavoro della Fondazione Dr. Ambrosoli Memorial Hospital, impegnata nel compito decisivo della formazione manageriale, sanitaria e tecnica di chi, africano, lavora oggi in prima linea a Kalongo.
“Chiamatemi Giuseppe” Padre Ambrosoli, medico e missionario di Elisabetta Soglio con Giovanna Ambrosoli ed. San Paolo, 2017 Premessa di Mario Calabresi Prefazione del cardinale Gianfranco Ravasi
Filippo Ciantia, insieme a Giuliano Rizzardini, presenterà il libro ”Chiamatemi Giuseppe” domenica 12 novembre alle 17,30 a villa Recalcati di Varese alla presenza delle due autrici, nella cornice del Festival del Racconto-Premio Chiara 2017.
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