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Attualità

CON WOYTJLA

SERGIO REDAELLI - 03/11/2017

Giovanni Paolo II, Giuseppe Zamberletti e mons. Pasquale Macchi il 2 novembre 1984 all'arco della Prima Cappella

Giovanni Paolo II, Giuseppe Zamberletti e mons. Pasquale Macchi il 2 novembre 1984 all’arco della Prima Cappella

Joaquin Navarro-Valls che diresse la sala stampa vaticana dal 1984 al 2006 ed è scomparso il 5 luglio scorso a ottant’anni, diceva che Giovanni Paolo II non si curava dell’eco che le sue apparizioni pubbliche provocavano nei media: “Lasciava decantare i fatti e poi si faceva raccontare episodi e commenti magari a tavola, mentre pranzava. Bisognava andare cauti a riferirglieli, non amava parlare di sé, né apparire protagonista”. Forse il papa non seppe neppure che dopo la visita al Sacro Monte di Varese per il quarto centenario della morte di Carlo Borromeo, l’arciprete Pasquale Macchi che lo aveva invitato prese carta e penna e descrisse la memorabile giornata.

“La venuta di un papa al Sacro Monte è un avvenimento storico che non può svanire nel dilungarsi dei giorni. Nessuno vuole cancellare dalla propria mente e dal proprio cuore la meravigliosa esperienza, vissuta nel pomeriggio del 2 novembre 1984. Una giornata di esaltazione in cui anche la natura ha offerto lo spettacolo di un autunno dai mille colori, tiepido e luminoso, quasi a rendere più facile la contemplazione della bellezza e della bontà di Dio. Le Ave Maria che si rincorrevano lungo la salita del Sacro Monte, ritmate dalla calda e forte voce di Giovanni Paolo II, sono entrate nel cuore e lì vi si sono fissate per sempre”.

Cade in questi giorni il trentatreesimo anniversario del pellegrinaggio del pontefice polacco e i varesini ricordano l’uno e l’altro con particolare affetto e devozione. Karol Woytjla, accolto da 40 mila fedeli, fu il primo e per ora l’unico papa ad incamminarsi lungo la “rizzada” del Sacro Monte, accompagnato dal cardinal Martini tra due ali di folla. E a lui devono la nomina del concittadino monsignor Macchi ad arcivescovo e delegato pontificio a Loreto. Non è un caso che il 27 aprile 2014 molti varesini fossero presenti sul sagrato della basilica di San Pietro a Roma quando papa Francesco lo proclamò santo con Giovanni XXIII.

Woytjla fu un pontefice da Guinness. Un regno lunghissimo il suo, ventisette anni, il terzo di sempre dopo Pio IX e l’apostolo Pietro. Centoquattro viaggi internazionali compiuti, novecento città visitate, oltre un milione di chilometri percorsi. Fu il primo pontefice slavo della storia, il primo non italiano dai tempi del rinascimentale Adriano VI, olandese. E fu dichiarato santo prestissimo, nove anni appena dopo la morte. Amava viaggiare e diffondere il messaggio evangelico in ogni angolo del mondo, paladino della libertà e dei diritti degli individui e dei popoli, influente sul piano sociale e politico.

Si dice tirare un papa per la mozzetta – la mantellina corta chiusa sul petto da una bottoniera – quando si vuole affibbiargli un’etichetta politica, una targa ideologica. Il biografo americano George Weigel, autore di Testimone della Speranza (Mondadori, 1999), ammonisce che le tradizionali categorie di “destra” e di “sinistra” sono inadeguate per Woytjla, ma molti hanno provato a cucirgliele addosso. Come è accaduto del resto ad altri pontefici del secolo scorso, da Leone XIII che indirizzò la Chiesa verso un rinnovato impegno sociale, a Pio XII che colpì il comunismo con i decreti del Sant’Uffizio, a Giovanni XXIII, il papa buono dalle radici contadine.

Per alcuni Woytjla era di destra perché contribuì a far cadere il muro di Berlino e a sconfiggere il comunismo, perché durante gli scioperi nei cantieri navali di Danzica appoggiò il sindacato cattolico fondato da Lech Walesa, premio Nobel per la pace nel 1983 e poi presidente della repubblica polacca. E in Polonia inviò il sacerdote Gianni Danzi, nato a Viggiù nel 1940, per creare una rete di contatti e aiuti concreti dalla Svizzera agli ambienti cattolici di Cracovia. Giovanni Paolo II appiccò l’incendio al blocco sovietico e questa fu la causa, forse, dell’attentato a cui scampò miracolosamente il 13 maggio 1981 in piazza San Pietro, per mano del turco Mehmet Alì Agca.

Per altri invece era progressista perché, pur combattendo il materialismo, affermava che “lo sfruttamento prodotto dal capitalismo inumano è un male autentico” e che “il marxismo ha un nocciolo di verità che lo ha reso attraente alla società occidentale”. Per papa Francesco che lo ha canonizzato, il predecessore polacco fu “un grande missionario della Chiesa, un San Paolo che sentiva il fuoco di portare il Vangelo dappertutto, un uomo così e per questo grande”. E proprio da Woytjla, Bergoglio fu nominato arcivescovo di Buenos Ayres nel 1998 e tre anni più tardi, nel 2001, ricevette la porpora.

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