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Editoriale

PD 3.0

MASSIMO LODI - 03/11/2017

renzigrasso-minnitiCose del Pd. Pd 1.0. Ora che s’arriva al dunque, Renzi sceglie il ravvedimento operoso. Per vincere le elezioni, deve allearsi al centro e alla sinistra. Al centro sembrerebbe cosa fatta, alla sinistra mica tanto (Mdp ha subito respinto l’appeasement). Però il cambio di marcia, e di direzione, del leader dem lascia intravedere un sussulto di realismo: quello che un paio di settimane fa su RMFonline aveva suggerito/auspicato Daniele Marantelli. Renzi pare averlo capito: da solo contro tutti non va da nessuna parte. Meglio in compagnia, possibilmente buona. Le coalizioni, per esser di successo, funzionano se le capacità mediatrici fanno aggio sull’impeto disgregatore. Opera ardua nel versante progressista (?) della politica italiana, e tuttavia chi più di altri deve adoperarsi nell’impresa è il leader del maggior partito di quest’area. Perciò Renzi ha da piegare l’irruenza caratteriale alle necessità strategiche. Comincia a convincersene, ma ci sono voluti cinque punti in meno nei sondaggi per spogliarlo della residuale riottosità. Forse non è nel torto Scalfari quando gli suggerisce di consultarsi periodicamente/giornalmente con una sorta di direttorio che ne consigli le mosse. Uno zic d’umiltà al servizio dell’intelligenza e del coraggio che -parola del prossimo candidato governatore del centrosinistra alla Regione Lombardia, Giorgio Gori- non mancano a Renzi. Cin cin al realismo.

Cose del Pd. Pd 2.0. Il presidente del Senato Grasso lascia i dem. Non la carica. Comprensibile la seconda scelta: a issarlo sul primo scranno di palazzo Madama ha provveduto l’assemblea non il partito. Sorprendente la prima: se il problema è stata la fiducia posta dal governo sulla legge elettorale, perché non sollevare analoga questione in occasioni precedenti, quando medesima scelta fu operata a proposito di differenti materie? Se il gesto risponde a un principio, il principio dovrebbe valere sempre e sempre giustificare il gesto. Grasso non starà mica pensando di diventare il leader d’una formazione di sinistra concorrente del Pd, diciamo a caso Mdp di Bersani e D’Alema, magari uniti in sodalizio a Pisapia? Il dubbio circola, e presso alcuni si è già volto in certezza. Se così fosse, Grasso ci farebbe una magra figura. L’uomo merita il rispetto massimo, la sua storia di magistrato è senz’altro esemplare. Ma proprio quando si risulta depositari d’un bagaglio di credibilità così ragguardevole bisognerebbe evitare d’indurre l’opinione pubblica a un giudizio dubitativo su scelte tranchant. Grasso fu indicato a quel ruolo istituzionale perché ritenuto al di sopra delle parti. Incrinare la certezza sulla continuità della sua missione, chiamiamola pure in tal modo senza timore d’enfasi, appare un errore malinconico. Come quando si mette a piovere, il cielo non si sgonfia di nuvole e non hai neppure l’ombrello a portata di mano. Renzi l’ha cercato senza trovarlo, quest’ombrello. Ma forse era lì, bastava guardare con un po’ più d’attenzione.

Cose del Pd. Pd 3.0. La visita del ministro degl’Interni a Varese non s’è rivelata solo occasione per sentire vicino lo Stato nel momento dell’emergenza-incendi. Di Marco Minniti si è apprezzato, oltre alla concretezza/competenza operativa, il profilo politico. Con ciò intendendo la capacità di ascolto, dialogo, pragmatismo. Nulla che non fosse noto, a dir la verità. Però qualcosa di verificabile, visto da vicino. Risultato: più d’una voce, a riunione chiusa, ha espresso forte gradimento per una futura premiership dell’ospite. Fantasia, certo. Ma chissà. Nel ballerinissimo futuro tricolore ci potrebbe stare quanto segue: che nessuno vince le elezioni e ha i numeri per governare da solo; che viene stretta un’alleanza tra Renzi e Berlusconi; che anche Salvini si aggrega, nel nome degl’interessi nazionali, alla comitiva, partecipando del governo o appoggiandone la nascita in Parlamento; che uno dei capisaldi del patto allargato è la sicurezza; che per garantirla si stabilisce una precisa/non negoziabile condizione, la nomina di Minniti a presidente del Consiglio. Un segno di discontinuità, e però anche di continuità, con Gentiloni. Un’opzione cui Renzi farebbe fatica a dire di no. Un compromesso che risulterebbe gradito a Berlusconi. Una scelta che giustificherebbe l’adesione della Lega. Se un giorno leggeremo qualche editoriale dal titolo “Siamo tutti Minniti”, non meravigliamoci. E ricordiamo una data particolare, il 30 ottobre varesino del 2017, lunedì. Il giorno del presagio.

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