Il conferimento del Premio Nobel per la letteratura lo scorso anno a Bob Dylan ha riacceso i riflettori sul valore dei testi di molte canzoni. E in occasione della laurea ad honorem consegnata a Patti Smith in quel di Parma, il ministro Dario Franceschini si è lasciato scappare una dichiarazione di un certo peso: “I testi dei cantautori italiani dovrebbero essere insegnati a scuola”.
Ci sono canzoni e canzoni. Canzoni che ormai da decenni e decenni costellano le vite di ognuno di noi, oggettiva supremazia che la parte letteraria vanta, il più delle volte e salvo eccezioni, su quella prettamente musicale. E d’altro canto la stessa Accademia della Crusca ha avviato una collaborazione con RadioRai proprio su questo tema.
Queste riflessioni mi tornano in mente terminata la lettura di “Le scarpe del tennis, ascoltando le canzoni di Enzo Jannacci (edizioni Itaca) di Guido Mezzera. Dal suo bel libro è stato tratto anche uno spettacolo che ha fatto il tutto esaurito al Meeting di Rimini di quest’anno.
“Le scarpe del tennis” e altri racconti fa parte di un progetto più ampio che riguarda vari cantautori italiani e che, prendendo spunto dalle canzoni,vuole far fare un passo ulteriore: ‘estendere’ le loro parole fuori dagli angusti recinti della metrica per farle diventare ‘short stories’ a tutti gli effetti.
Si comincia appunto con Jannacci il cantore della Milano dei quartieri, della Bovisa, dell’Ortica, della Barona, di Affori, della stazione di Rogoredo e dei bagni all’Idroscalo; la Milano dei Navigli e della vecchia Isola, il quartiere della malavita romantica di un tempo, la «ligéra», cioè la leggera perché rubava ma non sparava: non ci furono morti e feriti neppure nella grande rapina del secolo, quella di via Osoppo nel 1958.
Prima imprenditore, poi consulente societario Mezzera ha incontrato la scrittura relativamente tardi ma questo non gli impedisce di guidarci con mano sicura e scrittura verace tra i personaggi ‘minimi’ di Jannacci: una umanità dolente che non ha mai gli onori delle prime pagine ma che, nella sua ordinaria e umile esistenza,costituisce il tessuto più vero della nostra società.
Così El purtava i scarp de tennis è lo spunto per un viaggio nel mondo dei barboni che: “Le cose importanti le dicono ad alta voce anche quando sono soli, perché a sentirle le cose importanti diventano più importanti che se le pensi soltanto”. “Firma per piacere la fotografia”, il racconto di tre generazioni di donne. “Il volto della Madonna” la commovente storia di un pescivendolo, artista di strada e delle sue disavventure con i ‘ghisa’. “Ho visto un re” un inno alla dignità’’ della persona, che di fronte al Potere non si mette a urlare ma usa l’arma dell’ironia per affermare la sua stessa esistenza.
Nel dicembre 2011 Enzo Jannacci partecipò a un incontro con alcuni studenti delle superiori milanesi, organizzato dall’associazione Portofranco. Alla domanda: “Le tue canzoni sono piene di gente che soffre. Cosa ti viene in mente quando vedi uno che è nel dolore?” E il medico prestato alla musica rispose cosi: “ Mi viene in mente che è giusto che la ferita rimanga. Che a volte sanguini, a volte no. Queste ferite non sono dolenti. Pensate alle ferite che ha avuto il Nazareno in croce. Eh! Bisogna andarci dietro alle ferite. Bisogna volergli bene e sentirle non come un dolore ma come la continuazione del dolore. E allora ti si inumidiscono gli occhi e ti viene da piangere…”
Il libro di Mezzera è un utile (oltre che piacevole) strumento per tenere aperte quelle ferite che ciascuno di noi porta nel cuore, magari nascoste o mascherate. Insieme alla domanda che Lui si chini a rispondere.
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