Dopo un mese di assenza forzata dal centro cittadino, Pierfausto Vedani ha manifestato sul numero scorso di RMFonline il suo accigliato e condivisibile stupore di fronte a un centro storico di giorno in giorno sempre più imbrattato di scritte – tags come si usa dire – e di angoli maleodoranti per le deiezioni organiche dei protagonisti della “movida” cittadina. Da tempo nel centro storico ci sono vere e proprie discariche di graffiti, le più evidenti e offensive sono quella di corso Aldo Moro tra piazza San Giuseppe e piazza Monte Grappa, quella di via Vittorio Veneto angolo via Cavour, quella nelle stradine, peraltro simpatiche, che collegano via Morosini con via Como, quella del “parigino” vicolo Canonichetta, in via Bernascone e in progress ne sta crescendo un’altra sotto i portici antistanti il mitico negozio Verga. Sono le più evidenti ma non le sole. Non sono risparmiate certo le castellanze come Biumo, Bizzozero e Casbeno dove lunghissimi muri di cinta di storiche ville sono firmati da qualche improvvisato artista della bomboletta. Tutto questo accade nell’indifferenza generale sia della mano pubblica sia dei privati cittadini.
Il Comune diede una sommaria ripulita nel 2008 alla vigilia dei mondiali di ciclismo e poi non ha più battuto un colpo, i privati invece si arrendono alle continue reiterazioni delle imbrattature ed è difficile dar loro torto. C’è in buona sostanza un’assuefazione rassegnata al degrado. Come sosteneva Leonardo Sciascia, siamo di fronte a una sorta di “invisibilità dell’evidenza”. Servirebbe un richiamo forte e chiaro dell’assessorato ai lavori pubblici, una qualche iniziativa capace di richiamare l’attenzione di tutti come è accaduto, virgola a parte, per la raccolta differenziata.
Da decenni ho la sensazione che gli inquilini di Palazzo Estense vivano in un altrove immaginario ed evitino come fanno invece i comuni mortali di girare a piedi la città che è l’unico modo per conoscerla dal vivo. Tuttavia la piaga delle scritte non è l’unica meritevole di attenzione e cure immediate, ci sono i mille cartelli che popolano strada e marciapiedi in un disordine meritevole di un’accurata riorganizzazione; ci sono le affissioni su supporti marci risalenti agli anni cinquanta che letteralmente sconciano pezzi di intere vie. Anche in questo caso ristudiarle e trovare supporti più accettabili non sembra, a prima vista, un’impresa titanica. Siamo addirittura nell’ovvio risaputo quando si parla di illuminazione pubblica. In gennaio dopo anni di segnalazioni giornalistiche e di singoli cittadini, la Commissione lavori pubblici del Comune ha stilato un tragico bilancio: otto su dieci dei lampioni esistenti, dopo un trentennale servizio, risultano decotti e andrebbero buttati. I costi sono ovviamente alti e i tempi di sostituzione lunghi.
La crisi dell’illuminazione non è arrivata dalla sera alla mattina, è da almeno un decennio che l’agonia è in corso, quartiere per quartiere, strada per strada. È mai possibile che le forze politiche (Lega e PDL nelle sue mutevoli versioni), a Palazzo Estense da quasi un ventennio, non si siano rese conto degli impianti morenti, degli estesi blackout? Si sono gettati soldi dalle finestre inseguendo progetti improbabili come il famigerato trambus del quale, a tutt’oggi, non si conoscono i costi esatti invece di programmare un graduale e costante rinnovo della rete elettrica cittadina. Ancora una volta la cultura dell’emergenza ha prevalso sulla cultura della manutenzione.
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