(S) Ti pare che sia più importante un lazzo volgare, umanamente più osceno di qualsiasi esibizione impudica, ma pur sempre una roba da stadio, che non i disastri italiani, europei e mondiali, fino al rischio della terza guerra mondiale?
(C) No. Oggettivamente non è nemmeno paragonabile, ma preferisco occuparmi di questo ‘scherzuccio di dozzina’, certo non per somministrarvi uno scontato beverone antifascista. Intanto, perché Anna Frank non è un patrimonio dell’antifascismo, ma di tutta l’umanità, ma soprattutto perché questa vicenda mi dà modo di riflettere sulle stranezze del linguaggio comunicativo contemporaneo. Ma prima voglio sentire Onirio.
(O) Tutto quello che accade è per il bene, quindi se una dozzina di esaltati provocatori volevano usare di quella figurina per uno scherno tifoso, manifestando nel contempo la loro indole disumana, hanno ottenuto il risultato contrario, di essere vilipesi da tutto il mondo, compreso quello della squadra oggetto del loro tifo e, particolare non insignificante, di aver messo in moto una massiccia azione educativa pubblica in senso contrario alla loro intenzione.
(S) Vero, ogni posizione estrema suscita sempre una reazione contraria, spesso, a differenza della spinta di Archimede, molto più forte, e così è stato. Purtroppo non finisce qui: anche la reazione produce sicuramente effetti collaterali indesiderati: lo scherno osceno, che sarebbe stato notato da poche centinaia di persone, è stato reso noto a milioni e milioni di persone, in Italia e nel mondo. Chi ci ha guadagnato nello scambio e chi ci ha perso? Mi viene in mente la ‘damnatio memoriae’ degli imperatori romani o la storia delle statue di Colombo nell’America del politicamente corretto. In fondo è recente la sostituzione dei nomi delle vie alla fine della monarchia italiana, lo scalpellamento delle statue dei santi sulle facciate delle cattedrali francesi al tempo della rivoluzione; da noi quello dei fasci littori e l’imbiancatura delle frasi celebri di Mussolini. O anche il silenzio ‘pietoso’ dei vescovi sui preti pedofili. Come vedi, esamino e insieme deploro comportamenti provenienti da parti diverse. Non si può negare che esiste una tradizione culturale, non necessariamente bigotta, che sostiene che la prima lotta al male consiste nel non divulgarlo, possibilmente nel cancellarne la memoria, ma oggi si fa tutto il contrario da parte dei mezzi di comunicazione, la notizia che fa ascolto è quella cattiva, quella buona è semmai relegata in un inserto a parte, come ha iniziato a fare il più importante quotidiano italiano. Temo che, nonostante il proverbio, tutto il male venga per nuocere, almeno quello che commettono volontariamente gli esseri umani. Quindi non vale neanche l’opinione di Onirio a proposito del ‘tutto accade per il bene’ che è troppo mistica e per niente realistica.
(C) Acc.. Mi avete messo in mezzo ad un contrasto dialettico e mi riesce difficile uscirne. Ho sempre ritenuto la dialettica, hegeliana o marxista, un monumentale puzzle, un dòmino di pure parole, incapaci di comunicare la realtà. Dietro questo episodio non ci sono ‘figurine’ simbolo di ideologie, ma persone reali e poco importa che siano ‘pariolini’, magari iscritti alle migliori scuole cattoliche della capitale o sottoproletari delle periferie, mestieranti del crimine. Non riesco a levarmi dalla testa il pensiero che tutti, giornalisti, politici, presidenti di società sportive, autorità assortite abbiano invece giocato con le figurine, come facevamo da bambini. Cercavano di salvare la propria faccia o di ripetere ovvietà. Se poi passiamo alla gente ‘comune’ (?) quella che twitta anche sui siti dei maggiori quotidiani nazionali … beh, chi non li leggesse con i propri occhi non crederebbe alla dialettica di insulti e di capziosità. Ma mi domando: Anna Frank rilanciata in prima pagina con le magliette delle principali squadre di calcio è una raffinatezza degna del direttore di Repubblica o ancora un gioco di figurine? Lo sbiadito slogan “Siamo tutti Anna Frank” ci innalza ad un livello più alto di convivenza o ripete pigramente quello di ben più alte tragedie? Probabilmente non saprei fare di meglio, ma dai professionisti della comunicazione mi aspettavo qualcosa di meno suggestivo, ma di più vero, che non facesse il verso al soggetto da condannare, mettendosi sullo stesso piano.
(O) Temo che all’origine del tuo lamento ci sia la rinuncia a educare alla verità: se qualsiasi opinione è accettabile, purché sia espressa in forma politicamente corretta, si finisce per discutere della forma e non della sostanza. Non si troverà mai un punto di convergenza e nemmeno di concretezza, finisco per capire Lotito che dice, fatta salva qualsivoglia interpretazione del suo dire, “Famo sta sceneggiata”, attiva o subita che fosse e mette una corona, solo soletto, senza avere la presenza della controparte. Naturalmente, chi butta la corona nel Tevere fa pure peggio, che sia per rabbia o per dileggio.
Non c’è autorità giuridica o calcistica, sanzione penale o DASPO o punizione sportiva, che possa modificare certi comportamenti, occorrerebbe un’autorità morale che finora nessuno è in grado di esibire. Non parlo solo delle tifoserie calcistiche, ma di tutto ciò che può dare luogo a pluralità di opinioni, si tratti di politica o di cultura, di arte o di etica, persino di religione.
(S) Sono d’accordo con la tua conclusione … di desiderio. Perché non si avveri quel che io temo, che la massiccia condanna formale dei benpensanti (uso questo nome con proprietà e massimo rispetto) non generi reazioni gratuite in senso opposto, mi piacerebbe molto sentire qualche risposta di ‘convertiti’, per esempio di qualche ragazzotto, oggi maturo signore, tra coloro che molti anni fa, nel pieno della rivoluzione libertaria sessantottina, proprio qui a Varese inscenarono con tanto di croci una manifestazione politico-sportiva antisemita’ ai danni di una squadra di basket israeliana. Oppure, per stare nell’ambito calcistico, di Sinisa Mihailovic,* già calciatore della Lazio e oggi allenatore del Torino, a suo tempo vicino al Comandante Arkan e alle sue milizie autrici dei massacri tristemente noti nelle guerre jugoslave, che sembra aver dichiarato di non sapere chi sia Anna Frank. Intendo dire che le idee camminano sulle gambe delle persone, vengono scritte dalle loro mani, dette dalle loro bocche e che nessuno può ritenersi esentato da una concreta responsabilità, dall’obbligo di una presa di posizione, e che, se si deve dare maggiore attenzione a cose più importanti, non per questo è concesso di derubricare queste vicende al livello di ragazzate.
(C) Coraggio, vediamo chi si fa avanti! Ma degradare tutto a livello di ragazzate è sempre possibile. Per balzare ad un una ben più pericolosa vicenda, vi rendo noto che un tipo spiritoso ha dato la formazione della nazionale di calcio Catalana. Ve la propongo come esempio di quanto siano importanti il calcio immaginato e la politica reale: Kiko Casilla; Vidal, Bartra, Piquè, J. Alba; Fabregas, Busquets, V.Sanchez; Deulofeu, Bojan, Soriano.
(O) Attento a te! Non è molto che ci hai raccontato la storia della crisi jugoslava, che fu accelerata dalla sconfitta della nazionale al campionato mondiale di Italia 90, ma dovresti anche ricordare che solo otto anni dopo la piccola Croazia arrivò in semifinale a Francia 98, perdendola di misura e di sfortuna contro i padroni di casa, che poi avrebbero vinto la finale con il Brasile. Comunque la Croazia arrivò terza, battendo nella finalina anche l’Olanda. Perciò bada di non sottovalutare l’intreccio politico-sportivo, influisce sempre molto sulla mentalità comune e non si lascia descrivere solo dal gioco delle figurine.
(C) Per tornare al punto, tutto si lascia degradare, se prevalgono il pregiudizio e l’affermazione della propria parte come criterio di valore, al posto della ricerca della verità. Che questo richiamo possa nascere da un episodio tanto meschino, possiamo considerarlo quasi un miracolo.
(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante
* In una intervista dopo la partita di mercoledì, Mihailovic ha dichiarato di non conoscere la storia di Anna Frank, perché a scuola gli fecero studiare i romanzi di Ivo Andric, sostenendo anche di non essere razzista, anzi di essere vittima di insulti razzisti ogni volta che scende in campo in trasferta. Come ‘conversione’ non mi sembra sufficiente, tuttavia la citazione di Ivo Andric, sconosciuto anche al telecronista che intervistava Mihailovic e probabilmente alla maggior parte dei lettori, vale come un segnale positivo per il nostro e merita una rispettosa attenzione.
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