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Opinioni

IL VOTO, IL VUOTO

EDOARDO ZIN - 27/10/2017

federalismo“Hai sbagliato ad astenerti al referendum. Dovevi andare al seggio e votare NO – mi rimprovera un caro amico – Il referendum è una forma di democrazia e non mi sarei aspettato da te questo atto pavido”.

“E no, caro Giuseppe. Se avessi votato NO, avrei bocciato l’autonomia regionale, mentre – e tu lo sai bene! – sono stato fin dalla mia giovinezza, quando militavo attivamente in politica, un fervente regionalista ed un convinto federalista europeo. Ho imparato a capire il valore della sussidiarietà verticale leggendo Luigi Sturzo e seguendo gli articoli di Ugo La Malfa. Entrambi erano nemici dello stato centrale, ma condannavano con veementi parole la corruzione. Il primo morì nel ’59 e fustigava la partitocrazia, l’invadenza dello Stato in economia, i finanziamenti alla politica. Ero allora diciottenne, avevo pochi soldi, ma ogni giorno comperavo “Il giornale d’Italia” per leggere i suoi vibranti articoli scritti anche contro la DC, le cui radici affondavano nel partito popolare da lui fondato. Il secondo fu un nemico giurato degli eccessi di assistenzialismo e di sperpero del danaro pubblico. Un giorno alla TV denunciò: – adesso che l’economia prospera, che c’è un po’ di grasso, si è fatto carne di porco!

Non sono andato a votare proprio per coerenza, per rispettare il mio profondo desiderio di regionalismo, che, viceversa, è divenuto un grimaldello per entrare nella cassa dello stato per alimentare, tra le poche cose fatte bene, tangenti, clientelismo, rimborsi per spese pazze dei vari gruppi consiliari. Ascoltami. Le regioni entrarono in funzione nel 1970 e negli anni successivi lo stato cominciò a concedere ad esse deleghe in alcune competenze, a norma della Costituzione del 1948.

Da giovane, dietro alle regioni vedevo un “senso”, cioè la direzione e il significato di uno stato vicino ai cittadini e ai corpi intermedi, vedevo una necessaria condizione per il “buon” funzionamento dello Stato, vedevo la limitazione dello stato nazionale a vantaggio dei comuni e dell’Europa, vedevo la possibilità di attuare il “bene comune” – parola oggi desueta – a contatto con la gente del territorio. Ho conosciuto un uomo- Piero Bassetti – che incarnava queste idealità. E poi uomini come Cesare Golfari, Giuseppe Guzzetti e Bruno Tabacci che attuarono lo spirito costituzionale con una miriade di progetti, di opere pubbliche e che della regione avevano una visione non ideologica, ma quella ottimistica dello sviluppo di una moderna regione la cui feconda linfa spirituale e culturale avrebbe potuto dispiegare tutte le energie sociali, civili, economiche della Lombardia. Poi venne tangentopoli, il richiamo alla secessione da parte della Lega, l’astruseria delle origini celtiche, la ricerca spasmodica di un’identità locale, un cattolicesimo che da sociale si fece societario… Ecco, astenendomi, non ho voluto dare maggiore autonomia a questi carrozzoni!”.

 “Mi pare che tu sia diventato troppo severo. Proprio tu che eri dialogante con tutti e pronto alla mediazione. Non ti senti intransigente e, forse, compiuto?” mi chiede l’amico.

“No, assolutamente. Forse sono invecchiato, è vero, ma non sento né nostalgia per i vecchi tempi né ho rimpianti. Vivo in questo tempo. Sono realista. E guardo ogni giorno le cose con occhio disincantato: i conflitti, l’arroganza del mercato elevato a idolo supremo, la coesione sociale che non c’è più, la giustizia sociale rottamata, la solidarietà ridotta a elemosina…”

“E che cosa c’entra tutto questo con il referendum?”

“C’entra, c’entra perché chiedere l’autonomia senza indicare le competenze che si vogliono gestire è solo propaganda. Quando, nel 2001, fummo chiamati ad esprimerci sulla modifica del titolo V della Costituzione, quasi il 65% dei votanti diede il suo consenso per la modifica: fu abolito il controllo dello stato su specifiche materie e molte competenze diventarono esclusiva materia delle regioni. Da quel momento iniziarono gli scandali soprattutto nel settore sanità, le tangenti, “rimborsopoli”. La Lega, allora al governo, non si accontentò e costrinse la coalizione di centro-destra a inventare la “deregulation” (sostantivo patetico in bocca a chi voleva introdurre il dialetto bosino nell’insegnamento scolastico!) che proponeva l’inverso dell’autonomia: le regioni avrebbero avuto tutte le competenze, salvo a concedere allo stato centrale alcune competenze in materia di sicurezza e di politica estera. Era una follia e la legge, sottoposta a referendum abrogativo, fu bocciata con oltre il 61% di SI’.

Questo dimostra che la vera autonomia si attua solo se si specificano chiaramente le competenze riservate alle regioni e solo se si hanno risorse economiche da spendere: il quesito del referendum di domenica scorsa non nomina né le competenze né indica il modo per ottenere le risorse. È vera demagogia quella proclamata dai governatori Maroni e Zaia che chiedono l’autonomia fiscale: tale richiesta è espressamente vietata dalla Costituzione. Chiedere che il Veneto diventi regione a statuto speciale implica una revisione della carta costituzionale e coi tempi che corrono è puramente velleitario. Chi promette di trattenere in regione i 9 decimi delle tasse sa di essere un bugiardo o di non conoscere la Costituzione”.

“Resta il fatto che quasi il 38.5% dei lombardi sono andati a votare e solo una minima percentuale si è espresso con il NO. La maggioranza è per chiedere una maggiore autonomia, Non ti pare?” mi risponde Giuseppe.

“Caro Giuseppe, le percentuali indicano che solo un lombardo su tre è andato a votare. Se fossi andato anch’io a votare, nel caso che fossero state espressamente indicate le materie su cui chiedere maggiore indipendenza (per esempio: migliore coordinamento dell’organizzazione scolastica, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali regionali, politiche sociali, lotta alla povertà, servizio postale più efficiente…), la percentuale dei votanti forse sarebbe stata maggiore, soprattutto se si fossero aggiunte norme precise per indicare i modi per trovare risorse economiche, magari ricorrendo alla lotta degli sperperi e alla diminuzione di una burocrazia regionale divenuta anch’essa indisponente e smisurata”.

“Adesso ti metti a fare il populista anche tu!”

“No, il contrario: denuncio il malaffare del populismo. Spendere più di 50 milioni per far provare ai lombardi l’ebbrezza del voto elettronico, che è stato un flop e che ha dimostrato tante criticità, magari dicendo che i tablet resteranno alle scuole, ma tacendo che quei tablet non possono essere usati per altri scopi, se non modificando il software, dimostra di spendere tronfiamente una risorsa che poteva essere usata, ad esempio, per ridurre i ticket sulle prestazioni sanitarie o l’IRPEF regionale. Come potrà Maroni chiedere maggiore autonomia (leggi: risorse) se la maggioranza dei cittadini non la vuole? Sì, incominceranno ora i negoziati con il Governo nazionale, che si è già dimostrato non ostile alla concessione di maggiore autonomia entro certi limiti. Cosa che si sarebbe potuto fare senza ricorrere al referendum, ma quando si cerca di rafforzare un potere in declino, si punta sul popolo promettendogli ciò che non si può dare”.

“Tutto da rifare, allora, Edoardo”.

“Non direi. Il tema dell’autonomia è molto sentito e, piaccia o non piaccia, pesa politicamente anche all’interno della Lega. Il voto in Veneto è stato quasi un plebiscito per Zaia, che oscura figure mediocri di tutto il centro-destra e divide la Lega in secessionisti ed autonomisti. Se fossi Salvini mi preoccuperei. È un segno che fa parte delle storie di tanti uomini politici, di coloro che procedono con le polemiche del contingente e non in ragione delle speranze che accendono e della solidarietà che infondono nei cuori come fondamento della democrazia”.

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