Domenica 22 ottobre in Lombardia e in Veneto si vota per l’autonomia. Quindi in caso di voto favorevole le due regioni diverranno qualcosa di simile alle regioni a statuto speciale, magari più sul modello dell’Alto Adige che quello della Sicilia?
Non è proprio così. Innanzitutto in Veneto la consultazione sarà valida solo se verrà superato il quorum, se cioè voterà il 50% più uno degli aventi diritto. Il che non è per nulla scontato. In Lombardia il quorum giuridicamente non c’è, ma una scarsa partecipazione al voto sarebbe una chiara bocciatura politica. Comunque in caso di voto favorevole, (come è peraltro probabile dato che praticamente nessuno fa propaganda per il no), le due Regioni avranno un mandato popolare per avviare trattative con il Governo di Roma per ottenere maggiori spazi di manovra e le risorse necessarie per gestirli. Il testo su cui si voterà in Lombardia infatti afferma: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”
Pessima abitudine quella di rimandare ad altre leggi per comprendere la portata delle proposte. Andiamo comunque a vedere che cosa dice il terzo comma dell’articolo 116: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 …”. Alt. Fermiamoci qui. E andiamo a vedere il terzo comma dell’articolo 117. È quello dove si parla di “legislazione concorrente” dove spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali per una lunga serie di materie che vanno dalla politica commerciale alla ricerca, dalla previdenza complementare alle banche locali, dalle reti di trasporto ai beni culturali. Materie su cui quindi già ora le Regioni hanno una autonomia all’interno delle regole nazionali.
Ecco, Lombardia e Veneto chiedono di poter avere più libertà di manovra su alcuni di questi argomenti. Non si tratta di una proposta rivoluzionaria: le stesse modifiche costituzionali bocciate il 4 dicembre dell’anno scorso prevedevano una profonda revisione delle competenze regionali e una migliore definizione degli ambiti esclusivi.
Si può timidamente osservare peraltro che l’articolo 117 è stato quello su cui si sono basati negli anni il maggior numero di ricorsi delle Regioni e dello Stato alla Corte costituzionale con l’accusa da una parte e dall’altra di invasione di campo. E quindi una più chiara definizione non potrebbe che essere positiva.
A questo punto una prima considerazione. Il referendum lombardo-veneto va in una direzione profondamente diversa da quello che ha interessato la Catalogna dove si parlava, e si continua a parlare, apertamente di indipendenza. Anche perché, ancora una volta al contrario della Catalogna, la Lombardia non ha i caratteri tipici di una identità statale: una storia, una lingua, una concentrazione di interessi: basti pensare che province come Piacenza e Novara gravitano più su Milano che sui rispettivi capoluoghi regionali.
Una seconda considerazione. Questo referendum va anche in una direzione profondamente diversa da quella originaria della Lega di Umberto Bossi che aveva, almeno come obiettivo strategico, proprio la secessione tanto che uno degli slogan più utilizzati era “Via da Roma”.
Una terza considerazione. Il referendum regionale va anche in una direzione che mette in malcelato imbarazzo l’attuale leader della Lega, Matteo Salvini, la cui politica è tutta impegnata nel far diventare il suo partito una realtà di respiro nazionale.
Siamo di fronte così ad una timida e costruttiva scelta federalista che dimostra, al contrario di quanto avvenuto in Catalogna, la volontà di mantenersi in un rigoroso ambito costituzionale, rispettando esplicitamente l’unità nazionale e limitandosi ad una pressione politica per ottenere una più ampia possibilità di intervento, collegata anche a una maggiore (ma tutta da definire) disponibilità di risorse.
Detto questo resta un problema: servirà a qualcosa il referendum lombardo-veneto? Gli effetti politici li vedremo solo a medio/lungo termine. Se a Roma si riuscirà ad avere un Parlamento e un Governo stabili ed efficienti (utopia?) forse si potrà pensare a ridisegnare il federalismo come si era tentato di fare con la riforma dell’anno scorso che aveva il grande difetto di aver messo troppa carne al fuoco. Facendo quindi andare tutto in fumo.
L’obiettivo politico immediato appare invece quello di rafforzare politicamente i due governatori, Luca Zaia e Roberto Maroni, esponenti “storici” di una Lega che ha ormai emarginato il fondatore Umberto Bossi e la sua politica. E quindi anche questo referendum si innesta nella campagna elettorale che si concluderà al più tardi nella primavera prossima con le elezioni per il rinnovo del Parlamento. Quello di Roma.
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