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Opinioni

NÉ GOLPE NÉ NOMINATI

DANIELE MARANTELLI - 20/10/2017

montecitorioLa riforma elettorale approvata dalla Camera è una buona legge almeno per un paio di motivi: permette di ricostruire il rapporto di fiducia tra eletti ed elettori, logoratosi in questi anni difficili di crisi e consente di andare al voto il prossimo anno con le stesse regole per entrambi i rami del Parlamento.

Questi due elementi, da soli, dovrebbero essere sufficienti a sgomberare il campo dai dubbi, ma i toni accesi del dibattito e l’autorevolezza di alcuni dei critici suggeriscono di replicare punto per punto alle osservazioni.

Una questione va chiarita subito: la legge elettorale perfetta non esiste o esiste solo nella testa di chi l’ha pensata. Le leggi sono necessariamente il risultato di un compromesso, si parte da posizioni diverse, anche all’interno dello stesso partito e si converge su un testo condiviso.

Andiamo al merito della riforma, all’aspetto più positivo della legge, il tentativo di riallacciare il rapporto tra i cittadini e i loro rappresentanti, attraverso i collegi uninominali maggioritari, come all’epoca della legge Mattarella. I collegi, per loro natura, richiedono il maggiore sforzo possibile da parte delle forze politiche vicine per conquistare il seggio. La scelta fatta del voto unico – il voto va al candidato comune e alle liste per la parte proporzionale – rafforza la formazione della coalizione in modo trasparente. Le coalizioni non nascono per “decreto”. Il vincolo vero sta nella politica non in una regola della legge elettorale. Il collegio è la vera novità di questa legge, riporta i parlamentari tra gli elettori, nella società e diventa il perno intorno al quale costruire le coalizioni di governo. Nell’epoca della disaffezione alla politica e di instabilità dei governi è un passo avanti importante. Certo, la parte maggioritaria (36%) è minore di quella proporzionale (64%), ma è comunque un sistema che favorisce la governabilità più di un proporzionale semplice. Nelle condizioni politiche attuali abbiamo ottenuto la maggiore dose di maggioritario possibile. 232 deputati alla Camera e 116 senatori saranno eletti in collegi uninominali con formula maggioritaria, in cui vince il candidato più votato, mentre l’assegnazione dei restanti seggi avverrà con metodo proporzionale. Nell’ambito di collegi plurinominali le soglie di sbarramento sono del 10% per le coalizioni e del 3% per le liste. Nell’ambito delle coalizioni non contano i voti apportati da liste sotto la soglia dell’1% per evitare il proliferare delle cosiddette “Liste civetta”. I partiti possono presentarsi da soli o in coalizione. La coalizione è unica a livello nazionale e i partiti coalizzati presentano candidati unitari nei collegi uninominali. Dopo una lunga stagione di divisioni è tempo di rilanciare il centrosinistra, tanto più di fronte al vento conservatore e nazionalista che soffia forte in Europa, da ultimo in Austria.

La riforma approvata non è frutto del cosiddetto “inciucio”, è invece il risultato di un lavoro largamente condiviso in Parlamento, che ha determinato un’intesa ampia, tale da coinvolgere ben nove gruppi di maggioranza e opposizione. Molti ignorano che questa è stata la legge elettorale più votata nella storia della Repubblica, 375 voti a favore contro i 323 della legge Calderoli del 2005, o i 248 voti della legge Mattarella. Il M5S e i gruppi a sinistra del PD non hanno condiviso l’impianto della legge, legittimo, ma questo non giustifica gli insulti. “L’inciucio” ci sarebbe quando il PD fa una legge elettorale con Forza Italia e Lega, non c’è se l’accordo si fa con M5S. Un modo veramente singolare di ragionare, soprattutto da parte di chi ha fatto fallire i precedenti tentativi di accordo, facendoli saltare con il voto segreto.

Le sentenze della Corte Costituzionale ci avevano lasciato un sistema elettorale disomogeneo e lacunoso, con conseguenze pesanti sulla stabilità delle nostre istituzioni. Non potevamo, quindi, lasciare inascoltato l’appello pressante del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ad approvare rapidamente una nuova legge elettorale. D’altronde non potevamo accettare di essere l’unico paese al Mondo che va alle elezioni, non solo con discipline completamente diverse per le due Camere, ma addirittura con regole scritte dai giudici e non dal Parlamento. Da qui anche la necessità di procedere celermente.

Le contestazioni più aspre hanno riguardato infatti più il metodo che il merito. Il tema è quello della questione di fiducia. L’alternativa però erano centinaia di votazioni a scrutinio segreto, il cui esito, come sappiamo, il più delle volte non dipende da una scelta politica trasparente, ma da interessi meno nobili. Come ha ricordato la Presidente della Camera, Laura Boldrini, sono la Costituzione e il regolamento della Camera che consentono di porre la questione di fiducia sulle leggi elettorali per evitare i voti segreti. Nessun golpe o colpo di mano, anche se, personalmente, avrei preferito non si arrivasse al voto di fiducia. Il sistema non sarà perfetto, forse i collegi sono troppi ampi, ma è un passo avanti enorme in termini di trasparenza e rappresentatività. Funzionerà? Dipenderà dalla politica, la buona politica, quella che guarda al bene comune. Questa legge può essere lo strumento giusto per la buona politica. Vedremo nei prossimi giorni se il Senato la approverà o la modificherà in parte.

Mi soffermo su un tema oggetto di duro confronto come è stato quello sulle preferenze. Chiariamolo subito: non ci sono più i nominati. La Corte Costituzionale, nella sentenza del 2014, boccia le liste bloccate “lunghe” non quelle “corte”, “nelle quali – cito testualmente – il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)”. Questo è quanto scrive nero su bianco la Corte Costituzionale.

Il sistema approvato alla Camera, collegi uninominali e liste corte, con i nomi dei candidati sulle schede, è quello adottato dalle grandi democrazie europee per le elezioni nazionali. In Francia, Germania, Spagna, Portogallo e nel Regno Unito non si vota con le preferenze! Eppure questo non è motivo di scandalo, lo diventa invece qui da noi.

Naturalmente in un sistema tripolare, centrosinistra, centrodestra, 5 Stelle, non c’è legge elettorale che garantisca automaticamente la governabilità. Dipende dalle idee, dai programmi, dal progetto per il futuro del Paese, dalle leadership, dai candidati, il grado di consenso che avranno le forze politiche e le coalizioni e, conseguentemente, la governabilità stessa.

Personalmente continuo a ritenere che il problema più importante sia il lavoro. Dopo 7 anni di dura crisi economica possiamo constatare incoraggianti segnali di ripresa.

Dobbiamo pertanto pensare ad un programma che abbia al centro il rilancio della crescita. Solo così avremo risorse per la scuola, l’ambiente, l’innovazione, i giovani, le pensioni, la sanità, contrastando vecchie e nuove diseguaglianze. Molto è stato fatto. Molto resta da fare.

Per questo mi batterò affinché il Pd sia il perno di una larga coalizione di centrosinistra. La legge elettorale approvata alla Camera mette tutte queste forze di fronte alle loro responsabilità. Mi auguro possano assumersele in un momento molto importante per il futuro del nostro Paese e dell’Europa.

Daniele Marantelli, deputato Pd

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