Realtime/1. Renzi ha capito alcune cose importanti. La prima: rottamare tutti è insensato oltre che impossibile. Il recupero di Veltroni segna una discontinuità eccellente. È un repechage di sostanza, non di forma. Veltroni, che lo fondò, aiuterà a rifondare il Pd. Perché ce n’è bisogno. Nuovo cerchio -pratico invece che magico- attorno al segretario; nuova prospettiva d’unione a sinistra anziché di separazione; nuovo disegno post elettorale, se il voto non proclamerà alcun vincitore (com’è scontato). La seconda cosa: i colpi di slogan non producono alcun ko degli avversari, esterni e interni. Dunque, meno battute televisive/internettiane, più porta a porta sul territorio. Porta a porta vuol dire girare, colloquiare, pazientare. E poi sentire, percepire, intuire. Infine riassumere, comprendere, adempiere. E siamo alla terza cosa: adempiere a che? Alla missione datasi da Renzi ipse anni fa: cambiare in profondità un Paese riluttante a modifiche anche solo di superficie. Impossibile? Niente come l’impossibile riesce al pressappochismo italiano, quando l’emergenza incombe. Diluviano le ironie sul tour in treno del Matteorosso, su e giù per la penisola. Ma trattasi di tenacia (viscosità, con la “v” minuscola); di saper rialzarsi dopo una caduta; di praticare politica vera. Se altri s’atteggiassero così, verrebbero additati a esempio positivo. Perché l’ex premier, deragliamenti di prudenza a parte, dev’essere classificato alla voce negativo?
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Realtime/2. Il Rosatellum non è certo una legge elettorale da cin cin entusiastico, ma che si doveva fare? Andare al voto per Camera e Senato con due sistemi diversi? Accettare a priori l’ingovernabilità? Mettere a rischio di default una nazione che pochi anni orsono vi è stata in prossimità? Come si dice dalle nostre parti, e come scrive qui accanto Daniele Marantelli: piuttosto di niente, meglio piuttosto. Un po’ di pragmatismo, dài. E comunque, andiamo al nocciolo. A premiare o a non premiare un partito e i suoi candidati non è il modo in cui si sceglie il primo e i secondi. È il modo in cui essi sanno essere convincenti agli occhi dei votanti. Se io mi dimostro credibile/affidabile, tu mi concedi il consenso/appoggio. Il passato insegna che la volontà popolare ha sempre prevalso sui mezzucci per eventualmente inficiarne l’affermarsi. Andrà così anche stavolta. Baderemo ai nomi proposti e a null’altro. Qui sì che dovranno mostrarsi all’altezza del gioco quelli che l’organizzeranno, presentando squadre di titolati aspiranti a Montecitorio e a Palazzo Madama. Saranno in grado di corrispondere alle aspettative? Abbiamo il dovere di sperarlo, piantandola di demonizzare la politica in tutto e per tutti. C’è una cattiva politica e c’è una buona politica. Ci sono persone in gamba e persone no. Ci sono cittadini che usano la testa e cittadini che no, quando vanno alle urne. Anche questo bisogna dirlo, eh. Ad alta voce.
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Realtime/3. E adesso parliamo del referendum. Non di quello cui si è chiamati (ma si può anche non rispondere) in Veneto e Lombardia. Sull’argomento raccontano/informano altro che a sufficienza gli amici Gianfranco Fabi, Giuseppe Adamoli e Edoardo Zin. Leggete le loro autorevoli opinioni. No, il referendum sul quale vale la pena di cominciare a riflettere è quello sul futuro della Lega. Che farà dopo le elezioni di primavera? Se si dovesse profilare l’opportunità della partecipazione a una maggioranza trasversale destra-sinistra, darà il suo inedito okay o si terrà fuori dalle responsabilità, scegliendo di trascorrere una legislatura di lotta continua/contigua, al fianco dei grillini? Il punto appare decisivo per il futuro del salvinismo: sì o no (ecco il referendum) a un sostegno governativo alla probabile coppia Pd-Forza Italia. Sembrerebbe non azzardato ipotizzare quanto segue: che qualora le sorti nazionali lo richiedessero, il presidente della Repubblica lo auspicasse, le forze economico-finanziarie annuissero, sarebbe opportuno/utile scegliere la via della lungimiranza anziché la strada del tanto peggio tanto meglio. È sbagliato affermare: mai al governo con tizio o con caio. È giusto pensare: sì al governo per fare qualcosa di condivisibile e nell’interesse generale. Non importa la compagnia, importa il percorso. Certo, ci vogliono patti chiari. Nel caso si ottengano, apparirebbe oscura la rinunzia ad essere davvero patriottici (sovranisti) come un giorno sì e l’altro pure ci si dichiara con orgoglio. E anche senza pregiudizio, augurabilmente.
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