(S) Sei pronto a riprendere la penna, pardon, la tastiera, per mantenere la promessa di evitare l’ennesimo commento al prossimo referendum e offrici qualcosa di leggero, se non proprio di divertente e paradossale?
(C) Potrei invocare i postumi dell’influenza, marcare visita ed evitare un compito tanto difficile, in una settimana tribolata come questa. Come fare per evitare la purtroppo esplosa bomba catalana, il ‘Rosatellum’, per dire di questioni di voto e per dimenticare l’inesplosa bomba nordcoreana e la persistente bomba ‘demografica-africana’?
(O) Ci sarebbe un argomento diversivo, anche se ha me, che vivrei meglio in un mondo alieno, totalmente privo di avvenimenti sportivi, non importa nulla: la crisi della nazionale di calcio.
(C) Non è un cattivo suggerimento per aprire una metafora: in quel caso almeno ci sono gli spareggi (anglicisticamente: play off) se non vinci al primo colpo, c’è un’altra possibilità.
(S) Ma se la Catalogna secessiona, la Spagna può mantenere il diritto di giocare il Campionato mondiale e con quale squadra, con o senza i catalani?
(O) Tranquillo, non succederà niente sul campo verde, i compromessi si trovano più facilmente che altrove. Persino io so che per evitare imbarazzi politici la nazionale d’Israele gioca nelle qualificazioni europee e non in quelle asiatiche.
(C) Il tuo ottimismo è sempre consolatorio: ma non sempre va così liscia. Abbiamo già dimenticato la storia della Yugoslavia? Ve la rinfresco. C’è chi dice che sia bastato un rigore, un tiro fatale, sbagliato il 30 giugno del 1990 a Firenze da Faruk Hadžibegić, capitano dell’ultima nazionale del Paese unito nella partita contro l’Argentina di Maradona nei quarti di finale del Mondiale italiano, a innescare il meccanismo di dissoluzione dell’unità dello stato. Era certamente una situazione più complessa, lo stesso Tito aveva definito la sua creatura una federazione composta da sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti, un solo partito politico. E il vero collante era solo lui stesso. Di più: si attribuisce agli scontri tra i tifosi della Dinamo Zagabria e della Stella Rossa di Belgrado il primato di aver messo in scena, in uno stadio, il primo vero episodio del conflitto. Ed è nelle curve che sono stati reclutati i miliziani poi diventati tristemente famosi per la ferocia della pulizia etnica. Lo stesso ‘comandante Arkan’ (Tigre), il loro capo, nasce come capo della tifoseria della Stella Rossa di Belgrado.
(S) Infatti la nazionale yugoslava fu esclusa all’ultimo momento dai campionati europei del 1992. Ma noi non corriamo nessuno di questi rischi, i nostri politici sono grigi come i nostri calciatori. Gentiloni vale Ventura e Alfano Zappacosta. E dobbiamo credere di poter vincere il nostro spareggio, senza dover sperare in un ripescaggio.
(O) Spareggio e ripescaggio: possibilità che il ‘Rosatellum’ non contempla; la stranezza del meccanismo è la previsione, accettata della possibilità che nessuno vinca, ma tutti perdano.
(C) Non è così strana, anche sistemi elettorali molto diversi, che in passato hanno dati esiti certi e magari eccessivamente maggioritari oggi creano incertezza: poco fa Spagna e Gran Bretagna, ora Germania, il Belgio è rimasto senza un governo confermato per un sacco di mesi: non è successo niente di male, anzi, hanno migliorato i conti pubblici. Non per niente un politico disincantato come Andreotti ha potuto scrivere l’elogio del governo senza maggioranza parlamentare in “Governare con la crisi”. Ministeriale, s’intende.
(S) La crisi vera, ecco il problema. Nessuno vuol vedere che c’è qualcosa di comune all’origine di tutte le crisi italiane, la nazionale di calcio, i partiti, il governo, la Ferrari dalla candela rotta, emigranti sì ed emigranti no, Roma capitale della mafia ed è una crisi di persone, in particolare di fiducia nelle persone che hanno responsabilità. Abbiamo importato dall’estero non solo i calciatori, ma pure i direttori dei musei, noi che ci vantiamo di avere beni culturali più del resto del mondo messo insieme. In compenso esportiamo giovani talenti delle scienze perché non diamo nemmeno borse di studio a sufficienza. Via! Potresti davvero scambiare Ventura con Gentiloni e viceversa, sicuramente non andremmo peggio in nessuno dei due campi.
(C) Capisco che c’è un problema di leadership, in tutti i campi, in politica è reso macroscopico da un semplice fatto: molti dei veri leader, consolidati o in ascesa, non sono nemmeno parlamentari in questo momento: Renzi, Grillo e Casaleggio, Pisapia, Parisi, Berlusconi, suo malgrado, ma anche Emiliano e parecchi ministri dei governi Renzi e Gentiloni. E quanto a leadership, non se la passano bene né i sindacati né gli imprenditori.
(S) Se proprio vuoi ti aggiungo le belle arti, la musica, l’opera lirica, la filosofia, le varie scienze (chi si afferma è perché lavora all’estero), la moda (noi creiamo e produciamo ma i dividendi se li beccano i francesi). E dunque?
(C) Se ‘dunque’ deve essere conclusivo, come insegnava la maestra, non mi posso sottrarre all’obbligo della conclusione.
Evitiamo le scorciatoie populistiche, quindi evitiamo i referendum, i plebisciti, gli uomini’forti’ in tutte le possibili versioni. La fiducia della gente non la si ottiene a comando, come in parlamento, dove anzi la si chiede quando si teme il suo contrario. Ci vuole tempo, pazienza e coraggio. Coraggio di provare a dare spazio ai giovani, nella politica e nel calcio. Il ‘Rosatellum’ probabilmente non ci darà subito un governo di maggioranza, obbligherà a cercare una coalizione.
Lo spareggio, se lo vogliono, lo devono fare gli elettori. Se questo non avverrà, non lo considero un gran male, anzi un possibile beneficio, se contribuirà a far abbassare i toni della polemica. In fondo fu questo il beneficio del mancato scatto del premio di maggioranza della famosa ‘legge truffa’ nelle elezioni del 1953. In una politica diventata di sperimentazione e meno di contrapposizione, si dovettero cercare soluzioni nuove, creare nuove aperture e poterono crescere i Moro, i Fanfani, gli Andreotti e i Berlinguer.
Invece come difetto, ormai insanabile, del ‘Rosatellum’, vedo piuttosto la mancanza delle preferenze come disincentivo al coinvolgimento dell’elettore e come rischio di mancato rinnovamento dei partiti, che arbitri delle candidature, dovrebbero imporlo a loro stessi. La mancanza di competizione, anche interna, mi sembra una davvero grossa mancanza.
(S) Sebastiano Conformi (C) Costante (O) Onirio Desti
You must be logged in to post a comment Login