È un rischio fare un bilancio adesso, a caldo, del Festival NatureUrbane che si è svolto a Varese tra il 29 settembre e l’8 ottobre. Un festival dedicato alla valorizzazione del territorio e ai suoi caratteri più significativi, come i giardini delle ville di proprietà privata, aperti al pubblico per la prima volta in assoluto, e il parco del Campo dei Fiori.
È un rischio perché alcuni dati sono ancora in corso di elaborazione e, poi, perché progetti di questa natura meritano un minimo di decantazione, di sano distacco, per capire bene quel che è successo davvero, visto che si è trattato di un evento durato dieci giorni, con una notevole quantità di appuntamenti di varia natura (circa 200) e un gran numero di visitatori.
Fin qui, i dati raccolti indicano un volume complessivo di quasi 13.000 presenze. Con tante persone provenienti dalla provincia, ma anche da fuori e una quantità di contatti web davvero consistente (80.000), per un evento che si tiene per la prima volta e non parla di un tema, almeno apparentemente, nemmeno troppo accattivante. Oltretutto, si svolge in una cittadina di piccole dimensioni (80.000 abitanti), collocata a ridosso delle Prealpi.
Quasi un terzo delle visite ha riguardato parchi privati e pubblici (4.380). A questa cifra vanno aggiunti quasi 2.000 studenti accompagnati a conoscere i giardini pubblici. Visite che si sono svolte quasi esclusivamente nei due fine settimana, registrando sempre il tutto esaurito. E anzi, si è dovuto chiedere ai proprietari delle ville ulteriori disponibilità d’ingresso.
Hanno avuto un discreto successo anche i sedici incontri di approfondimento, di ricerca e di studio, cui han partecipato 1500 persone. I concerti di Mario Brunello, Alessandro Taverna, Pietro Fabris hanno raccolto 1.100 persone (fondamentale la collaborazione di Fabio Sartorelli). Ma le potenzialità di questi eventi, se fosse stato possibile avere spazi più ampi, sarebbero state ben diverse.
Non credevamo che avrebbe suscitato tanto interesse prenotarsi per andar per i sentieri del Campo dei Fiori e per la via Francisca del Lucomagno. E invece, abbiamo contato circa 1.200 persone, distribuite su una decina di percorsi, guidati dal CAI e dalle Guardie Ecologiche del Parco.
Tuttavia, i numeri non sempre raccontano tutta la storia. Mentre generalmente coi dati si giustifica tutto, anche l’ingiustificabile, nel nostro caso non danno conto dell’entusiasmo con cui le persone hanno accolto questo evento. Un entusiasmo palese e contagioso.
Probabilmente, tutto questo è dipeso dalla natura del programma. Dal fatto che si è riusciti a rimanere coerenti con l’impianto iniziale. E questo ha permesso di costruire un prodotto riconoscibile, dai tratti facilmente identificabili, tenendo sempre in gran conto la qualità dei contributi. Non s’è ceduto all’inserimento indiscriminato di eventi “purchè sia” che avrebbe inevitabilmente annacquato il racconto.
Il successo è dipeso anche dalla collaborazione col FAI (Fondo Ambiente Italiano) col quale abbiamo costruito il concept della manifestazione, giocato sulla ri-scoperta della città tra architettura e natura. E col quale abbiamo organizzato l’evento clou durato tutti e dieci i giorni, con la lettura de Il Barone Rampante di Italo Calvino (con gli attori Lella Costa, Franco Branciaroli, Flavio Oreglio, Peppe Servillo, Arianna Scommegna, Gioele Dix e giovani attori del Piccolo Teatro di Milano), che ha raccolto la bellezza 2.300 persone, tutti i giorni all’esterno, nel verde di un parco sempre diverso.
Ma questo non è stato il solo evento di qualità. Con la stessa attenzione son stati selezionati anche tutti quanti gli altri, come la presenza di Michelangelo Pistoletto e Paolo Pejrone, in modo che il Festival di Varese potesse essere raccontato anche al di fuori dei suoi confini, per connettersi e suscitare più interesse possibile.
In totale, alla realizzazione del Festival han lavorato una novantina di persone con molti volontari, come i Tourist Angels organizzati dalla Camera di Commercio della Provincia di Varese e del FAI, oltre ad operatori del Servizio Civile.
Adesso si tratta di capire quale sarà il futuro di questa manifestazione. Di certo, si ripeterà nel tempo, migliorandosi e specializzandosi. Ma tenendo fermo un impianto che deve rimanere compatto. Preciso sul punto. Con un carattere identitario forte. Legato ai temi del paesaggio.
E tuttavia, non potrà essere solo un evento più o meno di successo come ce ne sono tanti. Deve costituire un volano per lo sviluppo di crescita sociale ed economica. Deve essere parte di un progetto che esplori mondi diversi, appena annunciati, e sperimenti soluzioni per il futuro.
Di recente, in una bella pubblicazione dell’Università dell’Insubria si parla di “un ritorno al futuro della terra” attraverso la ricostituzione di un rapporto tra uomo, natura e montagna, come prospettiva di cambiamento di un sistema di sviluppo che sta mostrando tutte le sue insuperabili difficoltà e capace di creare anche grandi sofferenze. Il Festival NatureUrbane del futuro parlerà anche di questo.
Roberto Cecchi
Assessore alla Cultura del Comune di Varese
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