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“Avec des cathédrales pour uniques montagnes/ Et de noirs clochers comme mâts de cocagne/ où des diables en pierre décrochent les nuages”, cantava Jacques Brel ne “Le plat pays”. E francamente non capivo bene cosa volesse dire il cantautore belga prima di essere stata nel Belgio e Paesi bassi, constatando come le uniche montagne fossero proprio le cattedrali. Anche la Francia del Nord è un’intera vasta landa pianeggiante dove le sole montagne sono costituite da maestose cattedrali le cui guglie e pinnacoli sono visibili già a distanza di parecchi chilometri. Quella di Chartres, la si scorge ergersi da boschi e prati come un misterioso vascello che naviga sulla distesa ondeggiante di messi al vento. Ma anche quella di Rouen, di Reims, di Orléans e di Bourges… Vale la pena di proseguire tutta la via delle cattedrali per rimanerne incantati.
Esse rappresentano un intero cosmo caleidoscopico di simboli, di misteri inesplorati, di storia, di cultura, di devozioni, di rivolte, di tumulti e di guerre interreligiose, di riconciliazioni, e oggi finalmente di quiete, di spiritualità, d’arte e di bellezza incantevole. Ognuna di queste citate, richiederebbe anni di ricerche architettoniche, artistiche e storiche e perfino filologiche che qui non si possono certo riassumere, tante vaste e numerose sono le suggestioni che sprigionano.
Veniamo a Notre Dame di Chartres, la regina del gotico nonché stella dei cieli del Nord. La più antica, quella che tra i vari completamenti e rifacimenti mantiene in sé, il gotico puro. Sorta nel lontano 743. Poi ampliata nel 990 dove il venerabile Socrate dell’Accademia di Chartres, il vescovo Fulberto venne a insegnare alla scuola della cattedrale. Nei due secoli successivi essa fu una delle massime istituzioni scolastiche dell’Europa medievale. In seguito ci furono devastanti incendi nel 1020 e nel 1194. Mantiene un che di incombente e terrifico, se vista dal basso con i due campanili fatti a guglie svettanti, uno semplice e uno riccamente elaborato. Qui venne San Bernardo di Chiaravalle a bandire una crociata e qui venne a farsi incoronare re, il francese Enrico IV. E qui vennero studenti per ogni dove, per ascoltare gli insegnamenti dei grandi maestri di Chartres. E poi le sue vetrate, le “rose” caleidoscopiche e le loro implicazioni simboliche e morali, con interpretazioni bibliche così complesse che potevano essere comprese appieno solo dai dotti che vi erano familiarizzati attraverso le esegesi dei Padri della Chiesa come Sant’Agostino.
La cattedrale di Chartres si connota ancora oggi come un’autentica enciclopedia di pietra che non si finisce mai di studiare e di interpretare. Pensiamo anche alla schiera delle gargolle (parola proveniente dal francese “gargouille” che a sua volta deriva dal latino). La spiritualità visionaria del Medioevo generò gargolle di ogni tipo: da facce sorridenti a terribili figure demoniache, fino ad esseri mostruosi metà bestie e metà uomini e a chimere, esseri ibridi formati da più animali, posti a guardia delle cattedrali.
Ma l’origine del simbolo ibrido risale molto più indietro nel tempo addirittura all’antico Egitto. Il retaggio delle creature ibride egiziane e greche, si mischiò nel medioevo all’universo mitico dei bestiari come Il Fisiologo, libri illustrati con descrizioni di animali fantastici di terre lontane. Gli artisti e artigiani influenzati da tali testi scolpirono dei “doccioni” bestiali e affascinanti. Le caratteristiche degli animali immaginari furono reinterpretate in chiave cristiana. Alcuni studiosi hanno teorizzato che le gargolle furono utilizzate in funzione apotropaica come guardiani delle chiese allo scopo di tenere lontano i demoni. Altri pensano che questi “doccioni” di scarico dell’acqua simboleggiassero i demoni, da cui i passanti devoti avrebbero trovato scampo solo in chiesa.
Nell’entrare al suo interno ci si sente pervasi da una strana “sindrome di Stendhal”. Le pietre, consunte dai pellegrinaggi, paiono sprigionare una singolare energia. Inoltre c’è un misterioso labirinto disegnato sul pavimento che i pellegrini erano soliti percorrere in ginocchio quasi in un rito esoterico di iniziazione.
Notre-Dame di Rouen è un’altra delle più imponenti e sfarzose chiese gotiche della Francia; la sua “Tour lanterne” vanta il primato di avere la guglia (flèche) più alta del paese e la terza d’Europa (151 metri dal suolo), che la rese l’edificio più alto del mondo fra il 1876 e il 1880. Si trova nella città vecchia, sulla riva destra della Senna, a poca distanza dalla piazza del Mercato Vecchio, dove Giovanna d’Arco fu arsa viva il 30 maggio 1431.
Da questa cattedrale Claude Monet trasse ispirazione per i suoi dipinti visionari. Il pittore, trasferitosi a Rouen che era allora un importante centro commerciale, non perse tempo e subito cercò di fissare su tela le impressioni fuggevoli scaturite dall’interazione di giochi di luce e colori tra i pinnacoli e le forme gotiche della cattedrale, lontano da stilemi cartolineschi. Tra il 1892 e il 1894 Monet diede vita a ben trenta dipinti di Cattedrali di Rouen. La cattedrale di Santa Croce d’Orléans è un gotico un po’ romanicizzato che ha subìto le vicissitudini tipiche delle guerre di religioni: venne distrutta dagli Ugonotti. Ma poi restaurata e riedificata. Così ancora oggi come nei secoli passati, sia in pace che in guerra, in tempi di prosperità e di avversità, le storie e i destini degli abitanti dei citati borghi di Chartres, di Rouen e di Orléans rimarranno indissolubilmente legati, insieme alle loro cattedrali. Cattedrali che si elevano come montagne sacre dove – per dirla con le parole di Jacques Brel – demoni di pietra sganciano le nubi, forse per farci dei dispetti, mentre il suono dell’organo si propaga per navate e volte in tutta la sua trascendente terribilità e solennità.
Poiché le cattedrali d’Europa rappresentano sia le fondamenta che le vette e i vertici delle nostre più profonde reminiscenze culturali e spirituali. Quelle radici cristiane che non sono state menzionate nella costituzione d’Europa ma che ci sono e di cui oggi abbiamo bisogno più che mai di nutrirci.
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