Le case della Silicon Valley sono l’esempio di come avesse costruito la sua il primo dei tre porcellini della storia a tutti nota. Dopo aver fatto visita a mia figlia in California, un amico capomastro è ritornato dicendo che, prima o poi, il tetto le sarebbe caduto sulla testa.
Aveva ragione.
La casa dei miei nipoti è stata disegnata da Joseph Eichler, un architetto modernista che, sulle orme di Mies van der Rohe e Frank Lloyd Wright, tra il 1949 e il 1966 ha edificato un grande numero di case nella California del nord. L’idea era di costruire abitazioni innovative nel disegno e nella distribuzione degli spazi, ma economiche, quindi adatte alla nascente classe media di quell’area che, allora, era la pallida copia di ciò che è oggi.
Vuoi per convinzione stilistica, vuoi per ricerca della semplicità costruttiva, Eichler progettò le case con il tetto piatto. Se da un lato questa soluzione evita costose capriate e coperture dalla posa laboriosa, dall’altro ha una prevedibile difficoltà nello smaltire l’acqua piovana.
Normalmente, la Bay Area non è una regione particolarmente piovosa, umida e a volte nebbiosa sì, ma piovosa no. Tuttavia, il caso ha voluto che l’inverno 2016-2017 abbia dispensato tante precipitazioni come non se ne vedevano dal 1895: sicché il destino, invece di bussare alla porta con potenza beethoveniana, si è palesato subdolamente sotto forma di sgocciolamento dal soffitto, imponendo ai genitori dei miei nipoti di affrontare la questione del tetto.
Rifare il tetto di una casa abitandoci dentro con due bambini piccoli è innegabilmente complicato. Ne è seguito che, sensibili alle richieste provenienti dalla costa occidentale, i nonni sono partiti per una missione di soccorso.
In pratica, la cosa si è risolta in un lavoro di facchinaggio per ammassare momentaneamente il contenuto di alcune stanze nelle altre, in modo da rendere le prime disponibili per i lavori che vi si dovevano svolgere.
Questo sposta-tutto-di-qui-e-poi-rimettilo-di-là è stato anche l’occasione per fare un po’ di ordine tra le cose accumulate da nostra figlia, che fin da piccola aveva manifestato la tendenza a collezionare di tutto.
Fintanto che è rimasta nella casa dei suoi genitori, tale sua inclinazione è stata contenuta dai limiti fisici della sua stanza, nella quale più di tanto non poteva farci entrare; ma è esplosa nel momento in cui ha avuto due figli da vestire e una intera casa da riempire.
Come se questo suo naturale talento non fosse abbastanza, la prassi anglosassone di regalare gli indumenti infantili ormai piccoli ad altri perché possano farne uso si è innestata sulla sua propensione ad ammassare, dando origine alla fino a quel momento sconosciuta collezione di abiti neonatali.
Così, ad ogni gravidanza, la casa si è riempita di sacchi donati da amici e vicini, il cui contenuto di abitini è stato vagliato, selezionato, lavato, piegato e riposto in grandi contenitori di plastica etichettati: 0-3 mesi; fino a 6 mesi; 1 anno; e così via. Detti contenitori hanno dunque migrato di stanza in stanza secondo necessità, per poi finire in un ripostiglio, coprendone una intera parete da terra al soffitto.
Nel mentre della transumanza, alla nonna è sorto un dubbio, ed ha chiesto alla mamma dei nipoti la ragione di tanto accanimento nel conservare quanto necessario a vestire un neonato, visto che, grazie alla sua capacità generativa, il pianeta si è già arricchito di due pregevoli esemplari della specie umana.
La sua risposta, più o meno: “Non si sa mai”, ha reso evidente la necessità di avere un piano nell’eventualità che.
Al ritorno, ho invitato un amico avvocato a bere un caffè e mi sono fatto elencare i casi nei quali viene ritirato il passaporto. A puro scopo conoscitivo.
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