A fine agosto ho letto sulla stampa locale varesina le lettere che hanno scritto Ambrogio Vaghi e Mattia Colombo che si lamentavano nei confronti del Comune di Varese. Il primo per il fatto che il sindaco andasse in fuga solitaria come Coppi; Colombo, invece, per la mancanza di una sufficiente trasparenza amministrativa.
Riguardo quest’ultima doglianza condivido pienamente le ragioni a fondamento della stessa.
Queste collimano con quanto settimanalmente lamento nei confronti di tutti gli amministratori della città di Varese (risposte non mandate a missive – per di più – inoltrate per posta certificata; mancanza di assistenza all’istante; scarsa informazione e assenza di coinvolgimento nelle decisioni che devono essere assunte, malgrado una esplicita richiesta in tal senso da parte dei cittadini). Vaghi ha ragione a sostenere la propria posizione, ma non è il sindaco Galimberti che va in fuga solitaria come Coppi: è invece l’intera Giunta di Varese che ha pressoché le stesse abitudini. Ci sono più leggi che forniscono precisi diritti a chi intenda rapportarsi e interloquire con una pubblica istituzione. Questa ha degli obblighi che gravano sui pubblici amministratori e anche sui dirigenti. È necessario pretendere vengano rispettati i diritti dei cittadini non solo protestando, ma, anche, ricorrendo sempre agli enti superiori (ovvero di controllo, come il difensore civico). In casi estremi è necessario anche ricorrere alla magistratura competente. Certe pratiche contro la legge e le pronunce giurisprudenziali (specie comunitarie), che ormai si sono radicate nella pubblica amministrazione, come anche nelle amministrazioni private di interesse pubblico, vanno combattute con forza tutti insieme. Non va lasciato da solo uno a protestare per cercare di ottenere ragione. Rischierà, allora, di fallire. Saranno tutti a perderci, in questo caso.
Non è plausibile che ancora oggi dopo l’approvazione in Italia del Freedom information Act vi siano ancora amministratori che non forniscano risposte alle lettere ricevute. Inverosimile è anche il non coinvolgere, da parte degli amministratori pubblici, il cittadino che vuole partecipare – fornendo un semplice parere – alle pubbliche decisioni ovvero che tollerino un personale dell’ente stesso, che apparve svogliato e maleducato. Dico questo in estrema sintesi, facendo riferimento alla Convenzione di Aarhus, allo spirito del citato Freedom information act e non solo. La Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, nota, appunto, come Convenzione di Aarhus, è un trattato internazionale volto a garantire all’opinione pubblica e ai cittadini il diritto alla trasparenza e alla partecipazione in materia, ai processi decisionali di governo locale, nazionale e transfrontaliero concernenti l’ambiente. Focalizzata sul rapporto tra il pubblico e le autorità pubbliche, è stata firmata nella città danese di Aarhus, il 25 giugno 1998 ed è entrata in vigore il 30 ottobre 2001. Al maggio 2013, essa è stata ratificata da 45 stati e dall’Unione europea. In particolare in Italia è stata ratificata con la legge n. 108 del 16 marzo 2001. Si potrebbe anche fare riferimento al Testo unico in materia Ambientale primi tre articoli subalterni compresi.
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