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Società

VIVERE INSIEME

FRANCESCO SPATOLA - 29/09/2017

Il Dalai Lama al festival delle religioni di Firenze

Il Dalai Lama al festival delle religioni di Firenze

Non bastavano le critiche che in questi giorni gli sono piovute addosso dai cattolici tradizionalisti, ci si è messo di buzzo buono anche Vittorio Sgarbi a censurare drasticamente Papa Francesco: “È ateo, ama l’uomo e non Dio. Del resto è un gesuita, tutti atei“. L’affermazione, non nuova (vedi sul sito tradizionalista “La Fede Quotidiana“) ma francamente “un po’ fortina” anche per un narcisista provocatore di professione come lo storico e critico d’arte ferrarese, è sbocciata al culmine di un’irosa filippica contro la riforma liturgica conciliare, che ha avuto “l’idea stupida” di far voltare il sacerdote verso i fedeli mentre dice messa, anziché lasciarlo a voltargli le spalle in quanto loro guida che si rivolge a Dio, direttore d’orchestra dei credenti e praticanti.

Una chicca istrionica di chi giudica i credenti pretendendo di essere più credente ed autentico di loro, mentre si professa ateo e nell’ottica del dialogo partecipa al terzo Festival delle Religioni di Firenze del 19-23 settembre scorso, nel quarantennale che celebra Giorgio La Pira e la sua ideale “città sul monte”, a confronto col filosofo Sergio Givone. E che completa l’incipit critico sgarbiano verso il Festival stesso, reo di essersi aperto con l’intervento dell’altro – secondo Sgarbi – grande ateo Dalai Lama, intervenuto a confronto con il monaco cattolico Enzo Bianchi, fondatore del convento ecumenico di Bose, con Izzedin Elzir, Imam di Firenze e presidente dell’Unione Comunità Islamiche d’Italia, e con il giurista Joseph Weiler.

E tuttavia – per come ho potuto sperimentare, correndo tra le location da un incontro all’altro – la matrice di serietà profonda del Festival non ne ha risentito: centrata com’era sull’emblematico tema identitario-esistenziale “Io sono”, elaborato dalla filosofa fiorentina creatrice del Festival Francesca Campana Contarini e diversamente declinato dagli ospiti. Il dubbio se la religione faccia bene o faccia male – col dare valore assoluto ed indiscutibile alle identità, mettendole perennemente a rischio di conflittuale aggressività verso gli esterni – attraversava tutte le relazioni. Le risposte sono state plurime, ma accomunate dal filo conduttore del dialogo interreligioso come obiettivo e metodo comune.

A partire dal Dalai Lama, che ha inaugurato il Festival da homo religiosus, checché ne dica Sgarbi, che ha trovato buona compagnia sul settimanale diocesano fiorentino, turbato perché al Festival la guida spirituale buddista veniva appellato “Sua Santità”. Così, ha richiamato alla responsabilità della religione nell’esperienza quotidiana del dolore del mondo: “Nella mia vita sono stato testimone di tante cose, tanti conflitti, in questo momento in cui siamo qui, ci sono fratelli e sorelle, bambini che stanno morendo per ragioni che noi stessi abbiamo creato. È venuto il momento di fermare queste sofferenze”, perché “è una cosa terribile che le religioni, che sono portavoce della compassione, vengano usate al fine di alimentare le divisioni. Questo avviene perché non c’è comprensione dell’altro. È completamente ridicolo e inutile usare la religione come metodo di conflitto”. Proseguendo contro le strumentalizzazioni della religione: “Sentiamo spesso ai giorni nostri affiancare il termine terrorista a quello di religioso. Sono molto contrario a denominare così un religioso, poiché nel momento in cui uccidi non sei più musulmano o buddista, sei semplicemente un terrorista”, anche pro Islam: “L’attività principale del praticante musulmano è di amare tutto il creato di Allah. Nel momento in cui uccidi qualcuno smetti di essere musulmano. I capi di governo, d’altro canto, manipolano le religioni per mettere gli uni contro gli altri”.

Il rapporto con l’Islam era il tema più scottante, al centro dell’incontro finale con lo storico Ernesto Galli della Loggia e il filosofo francese Michel Maffesoli, con la conduzione del giornalista esteri Alberto Negri. Religioni di pace o di guerra? Per Galli della Loggia vale l’ambivalenza: le religioni sono fonte sia di conflitto sia di avvicinamento, ma in prevalenza se ne vede la matrice conflittuale, specie per i monoteismi del bacino del Mediterraneo. Le religioni sono fucine di identità totali, personali e collettive, e trovare punti d’incontro tra identità totali è assai difficile, tende a prevalere l’intolleranza. Di qui il conflitto dei paesi di cultura cristiana con l’Islam, tenendo conto che le grandi religioni non sono fenomeni soggettivi ma creano civiltà: dai sistemi di valori a complessi socioculturali a realtà materiali, economiche e politiche.

Si è rivelata falsa la profezia che la modernità provocasse la scomparsa delle religioni: non è avvenuto specialmente per il mondo islamico, dove le elites laiche create dal colonialismo occidentale dei due secoli scorsi sono state soppiantate del processo di reislamizzazione, come in Iran e Turchia, salvo che subentrassero regimi dittatoriali come in Egitto. Il risveglio religioso è avvenuto in corrispondenza di un risveglio politico generale antioccidentale, che si è esteso ad un rigetto anticristiano come campagna contro i (presunti) nuovi crociati, rispolverando mille anni di storia che sembravano dimenticati, quando ad espandersi in senso imperialistico era stato l’Islam sino all’assedio di Vienna del ‘600, mentre solo con la rivoluzione industriale l’Occidente cristiano ha preso il sopravvento e radicato il colonialismo occidentale. La conflittualità sembra congeniale all’Islam, religione militare al suo stesso nascere, con il profeta Maometto in funzione sia di leader religioso sia di capo militare.

L’emigrazione recente per Galli della Loggia ha rafforzato l’identità islamica, perché chi emigra è soggetto ad estraneazione e disorientamento nel nuovo paese e si difende attaccandosi alle tradizioni, in primis alla religione dei padri, specie in Europa dove il relativismo morale in cui i migranti si trovano improvvisamente immersi li sconcerta e induce reazioni difensive. Le tensioni quindi serpeggiano, dentro e fuori, anche per il carattere specifico dell’Islam che sembra refrattario alla democrazia: su 25 paesi a maggioranza islamica e circa 2 miliardi di persone, solo la Tunisia è un regime democratico (in bilico); mentre, se non tutti i paesi cristiani sono democratici, tuttavia tutti i paesi democratici sono a maggioranza cristiana, tranne il Giappone, la Corea e Israele. É il cristianesimo, e non l’Islam, che ha dato origine alla democrazia, seppure in modo storicamente assai travagliato, e ciò oggi è decisivo, perché i paesi democratici hanno un rapporto più contenuto con la guerra, riescono a controllarla meglio e sono tendenzialmente più pacifici.

L’Islam non ha avuto questa evoluzione: nei paesi islamici non c’è opinione pubblica, libertà d’informazione, conoscenza reale del passato, perché gli studenti islamici hanno una cognizione storica del tutto leggendaria, imparano una storia del tutto falsa, per loro la Spagna è ancora l’antica Andalùs che gli è stata sottratta dai crociati cristiani. Il mondo islamico non ha conociuto lo Stato centralizzato di stampo europeo, e questo fa sì che nessuno stato laico riesca a reggere nel lungo periodo senza la religione, salvo torsioni iperdittatoriali. È mancato loro il collante sociale rappresentato dall’autorità laica, che il cristianesimo ha favorito, promuovendo contestualmente la democrazia. Perciò lo stato di tensione con l’Occidente cristiano è destinato ad aumentare, forte anche dell’arma micidiale dei petrodollari con cui gli stati islamici più radicali comprano potere finanziario ed immobiliare in Europa e finanziano moschee e imam loro fedeli.

Un pessimismo storico, quello di Galli della Loggia, stimolante e acuto, ma non indiscutibile: le analisi suggestive non sono sempre penetranti e possono essere contraddette dalla pratica quotidiana. Nel pomeriggio precedente, la moschea di Firenze ha accolto il Festival con un incontro interreligioso con esponenti cattolici, ebrei, buddisti. Attigua alla piazza dei Ciompi (si, quelli del tumulto dei poveri contro i ricchi), in un garage francamente miserabile, neanche fosse la Varese già leghista. Ma quella location così poco trendy ben rifletteva la composizione sociale degli islamici fiorentini, e in verità italiani: ad accogliere i convegnisti, prevalentemente cattolici progressisti, politically correct e vestiti casual da boutique o ceto medio new age, a disagio nel togliersi le scarpe per passare sul grande tappeto che copriva il cemento, c’erano i musulmani locali, visibilmente poveri e malvestiti, giusto coi loro capi in modesta giacca e cravatta. Accoglienza cordiale ed amabile, si vedeva che il dialogo interreligioso a Firenze dura da anni e gli incontri tra esponenti delle diverse comunità religiose sono sistematici. Ma forse la base delle tensioni potenziali, diceva quel colpo d’occhio, è piuttosto la disuguaglianza sociale: nella mattina una manifestazione per la casa aveva attraversato il centro storico, in prima fila i capi sindacali, unici bianchi del corteo, e dietro facce simili a quelle della moschea, negri o nordafricani.

E dentro la moschea la serie di interventi era all’insegna dell’io che non può stare senza il tu, quale che ne sia l’identità religiosa, come ha detto la rappresentante ebraica, protagonista – dopo l’obbligo di togliersi le scarpe – dell’altra stranezza: era il secondo giorno del Capodanno ebraico, nel sesto giorno della creazione dell’uomo 5778 anni fa, con regole di rispettosa astensione dalle attività come quelle dello shabbat che non le permetteva di usare il microfono sedendosi al tavolo dei relatori. Così ha parlato a viva voce seduta nel pubblico, secondo la sua personale interpretazione della regola, nell’intervento più simile a quello del rappresentante islamico: “io sono” può dirlo solo Dio (Ani in ebraico, Anā in arabo), l’uomo da solo non ha senso; ma poiché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza e lo invia tra gli uomini, l’uomo ha senso come umanità plurale, polietnica, multiculturale. Mosè ha liberato gli ebrei dalla schiavitù, e ne ha così fatto un compito per tutti: aiutare gli altri ad uscire dalle schiavitù personali, la povertà, l’ignoranza, la malattia, la solitudine, per sentirsi bene con se stessi. “Io sono” individuale ha un senso di egoismo, di invidualismo: chi sono io senza gli altri, senza un tu?

Consonanza e risonanza delle parole nel rappresentante musulmano: “Io Sono” è la presentazione di Dio, il Clemente, il Misericordioso, l’Assoluto. L’uomo è invece il relativo, il limitato: non sappiamo quando nasciamo, non sappiamo quando moriamo, come può un uomo dire “io sono”? Tre elementi ci definiscono: ragione, libertà, dignità sostanziale. L’io comincia ad essere con la ragione: “cogito, ergo sum”, come per Cartesio. E cresce come libertà, assoluta se autoregolata, senza essere schiavi delle passioni. Ma è reale se non mancano i mezzi materiali, per vivere una vita dignitosa, per poter rivendicare la propria dignità. Non facile vivere e proclamare questa pienezza dell’umanità, può essere necessario uscire dai propri luoghi, dalle costrizioni della propria realtà che la inibiscono: così per i 5 profeti dell’Islam, per Noé ed Abramo, per Mosè e Gesù, e infine per Maometto, tutti usciti dalla propria terra per diventare se stessi. Ma per i migranti di oggi, libertà e dignità vengono spesso a mancare: discriminazione e ghettizzazione inibiscono la libertà, la vita grama impedisce la dignità. Così suscita ammirazione l’orgoglio identitario delle ragazze musulmane che portano il velo, avendo il coraggio di essere se stesse, di proclamare la propria dignità. Chi è un buon musulmano? Non certo la minoranza che travisa l’Islam con il jahdismo e il fondamentalismo, che deturpa l’immagine dell’Islam e di tutta l’umanità. Lo è chi dice il bene e fa il bene. Ma questa identità religiosa tende fortemente a perdersi per i migranti musulmani, che spesso si deprimono per le condizioni miserabili in cui sono ridotti i loro luoghi di culto in Occidente e di fronte alla discriminazione e ghettizzazione si vergognano della loro identità, e per sentirsi uguali agli altri rinunciano ad insegnare ai loro figli lingua e religione, facendono degli sradicati senza valori, dove pesca la devianza e il fondamentalismo, risposta folle e perversa alla perdita dell’identità. In sostanza, sembra intenda dire: teste vuote di emarginati, che senza nulla sapere del Corano e della vera religione islamica, se ne inventano una propria rabbiosa e feroce, e si espongono acriticamente alle tentazioni ribellistiche della cyber-propaganda fanatica.

All’esaltazione della pluralità delle vie al divino, dei mille fiori e piante che una stessa nuvola bagna, e del bisogno dell’altro e del dialogo con gli altri che la rappresentante buddista afferma con dovizia di parabole, risponde un giovane sacerdote cattolico fiorentino, educato alla fede in India da un monaco benedettino che vive in un ashram, studiando Bibbia e Veda in un contesto intrinsecamente interreligioso: il dialogo tra le religioni è dialogo tra le esperienze religiose, e riproduce le dinamiche interpersonali della relazione autentica, quella empatica. Per un dialogo autentico occorre entrare in empatia con l’altro, andare alla base di un’esperienza religiosa ed entrare in comunione con l’altro. L’identità originaria rimane, ma dal profondo dell’esperienza religiosa ci si accosta all’altro cercando di entrare in intimità spirituale profonda. Finché si resta in superficie si colgono solo differenze abissali, quanto più si entra in profondità tanto più ci si avvicina e si colgono i valori comuni. La “città sul monte” di La Pira è come San Miniato, costruzione mirabile dell’umanesimo fiorentino dove il cristianesimo si amalgama col pensiero platonico e gnostico, religioso e secolare insieme in un pensiero globale articolato e complesso. Per arrivarci va attraversata la “città della pianura”, quella reale, storica, che è troppo spesso città della paura, che può diventare una gabbia inesorabile. Per questo bisogna liberarsi, guardando in alto e lontano insieme, mettendo insieme pensieri diversi.

Io sono, io siamo. Più che convivere, vivere insieme. La fiducia della prassi può superare la sfiducia della teoria. Da Firenze, anche per Varese, chissà.

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