Il piano della sosta varato dalla Giunta Galimberti continua a far discutere e a registrare prese di posizioni talvolta estreme e particolaristiche, persino con gesti di intolleranza e insofferenza inaccettabili come il tentativo di aggressione a un ausiliaria del traffico avvenuto alcuni giorni fa. Al di là di queste isolate estremizzazioni bisogna tuttavia convenire su almeno due elementi di questa controversa vicenda: il primo è che Varese aveva assoluta necessità di fare una sorta di ecografia profonda al sistema dei parcheggi cittadini e di conseguenza alle modalità di utilizzo dei mezzi privati e pubblici; il secondo è che tra la diagnosi e la cura i tempi sono stati troppo affrettati e non si è tenuto abbastanza conto delle controindicazioni che avrebbero potuto insorgere in fase di somministrazione della terapia. Cerchiamo di valutare in breve e separatamente i due aspetti della vicenda.
Cominciamo da un dato statisticamente accertato. I varesini hanno con l’automobile una sorta di rapporto simbiotico e in effetti è una tra le città italiane con il rapporto più alto tra veicoli circolanti e numero di residenti. La città si estende su un territorio ampio, disteso sulle colline, scandito dalle Castellanze quell’unicum urbanistico identitario che ne ha condizionato lo sviluppo. Al punto che Varese può essere considerata una città somma di preesistenze esilmente collegate tra loro in spazi relativamente angusti senza un baricentro storico di riferimento.
Con l’esplosione nel dopoguerra della motorizzazione di massa, i nodi sono subito venuti al pettine e la città giardino più che governato ha subito il fenomeno, già problematico dalla metà degli anni sessanta quando, tra polemiche e proteste assurde, si riuscì a pedonalizzare Piazza S. Vittore. Operazione ripetuta poi anni dopo con Corso Matteotti e più tardi le vie adiacenti, sempre con il consueto corollario di miopi lamentazioni.
In realtà dopo questi timidi vulnus al totem delle quattro ruote, sarebbe stato opportuno separare con decisione il traffico di passaggio da quello diretto in città grazie a un adeguato sistema di tangenziali esterne e interne. Solo quella del Lago di Varese ha visto compiutamente la luce seguita, solo nel 2009, dalla tangenzialina est, utilissima ma già oggi asfittica. L’asse di scorrimento interno veloce di Corso Europa si è invece interrotto per sempre al Cimitero di Casbeno quando, nelle intenzioni, avrebbe dovuto raggiungere Masnago in area Esselunga; nessun intervento è stato mai fatto a nord per l’ingresso in città dalla Valganna, dalla Valceresio, dalla provinciale del Brinzio, idem per l’autostrada che finisce ancor oggi in città, un unicum nazionale.
Risultato: una città imbuto con l’aggravante di uno smisurato autosilo, quello delle Corti, che attrae traffico e la cui costruzione ha compromesso la stabilità della Caserma e condizionato per sempre la sistemazione di Piazza Repubblica. Ai tempi qualcuno aveva suggerito la costruzione tra il multipiano e Corso Europa di un tunnel di collegamento sotto il Montalbano, ma la lungimirante proposta fu lasciata cadere.
Questo e altri mancati interventi hanno reso problematico trovare un punto di equilibrio tra le necessità di una sosta ragionevole e una città meno subalterna al mezzo privato. Il piano della sosta va senza dubbio in questa direzione anche se le criticità restano molte: la mancata analisi delle esigenze di alcune categorie di utenti (dipendenti di ospedali, Asl e personale scolastico su tutti) e pendolari che pur pagando un canone rischiano di non trovare stalli liberi come del resto molti residenti sprovvisti di box o posto auto; la completa sparizione o quasi di stalli a disco orario breve; il non facile orientamento tra le zone a colorazione e prezzo differenziati; il dubbio utilizzo su vasta scala dei parcheggi di corrispondenza esterni.
La realizzazione del piano della sosta nel tempo non estingue comunque la necessità di dotare la città di qualche terminal di interscambio sul perimetro esterno del centro storico come l’ormai fantomatico multipiano di via Sempione atteso da un decennio e mai, per ora, decollato. Altre possibilità andrebbero esplorate nella zona delle stazioni, in via Adamoli (esiste un parcheggio sotterraneo di cinquanta posti chiuso da anni) e in via Carcano dove in completo abbandono sono presenti aree private che andrebbero riconvertite a uso pubblico.
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