La mattinata era dall’esito meteorologico vago. Nuvole, sole, pioggerella; schiarite, fredducolo, caldino? Mah. Sfidando l’incertezza e il nirvana, siamo tracollati al caffè in piazza Monte Grappa. All’aperto, la torre del Loreti di fianco. I tavolini c’erano, sfida dell’ok ottimistico. L’abbiamo condivisa, ci siamo seduti e avviato la chiacchierata. Guido Belli, un amico old style, ed io. Lui è una delle persone più colte, argute, semplici che conosco. C’è sempre da imparare, ascoltandolo. E del resto l’avrete capito/apprezzato anche voi, leggendo qualcosa (almeno qualcosa) di quel che scrive da “Nonno di frontiera” su RMFonline.
Dunque, ammesso che v’importi: di che abbiamo parlato? Di tutto un po’, come si dice. Cose lievi, cose meno. Una tra di esse uber alles, ciò che capita a qualunque varesino di questi tempi. Indovinate. Indovinato? La rivoluzione della sosta, il blu arcidipinto di blu, i divieti e gli affanni, l’umoralità balenga. E, di seguito, il galimbertismo a un anno e più dal suo affermarsi. Funziona, non funziona? Rinnovargli la fiducia, metterla in discussione? Avere pazienza più che stizza?
Con franchezza, credeteci: nessuna sentenza. Il dubbio, questo sì, a rigirarsi nella tazzina dell’espresso. Cioè: 1) speriamo che la strada politica (non solo strisce e asfalto) sia giusta; 2) che la visione del percorso risulti azzeccata 3) che il traguardo si confermi quello annunziato in campagna elettorale. Eccolo, il punto. Che traguardo? Forse, tra una protesta di quartiere/settore e l’altra, ne abbiamo smarrito la visione. Distrazioni senili? Possibile. E tuttavia: quale città stanno progettando i nostri amministratori per gli eredi, figli e nipoti, che lasceremo?
In altre parole, e al netto dei correggibili/evidenti difetti d’un maxiprovvedimento di regolazione del traffico, la domanda è: che Varese si immaginano per davvero (“Per davvero” era lo slogan del centrosinistra desideroso di seppellire ventitré anni dello scialbo dominio leghista) gli amministratori della new/modern city? Indagate le peculiarità del luogo, di chi lo abita, dei tanti che ci lavorano, come s’intende contribuire alla specialità produttiva -perché questo va fatto- che possa rilanciare un sito purtroppo decaduto? E assegnargli un’identità dal profilo riconoscibile e riconosciuto?
La questione è di tutta ciccia, altro che magra da poter (dover) essere considerata anoressica. E difatti si comincia a intravedere dove vuole andare Varese, con quale vestito/bagaglio, assieme a chi, mobilitando che cosa. Ambiente, paesaggio, cultura, turismo: eccolo, il poker cui s’ispira l’idea di recupero del ruolo di Città giardino (storia più bellezza), esemplificata da una sontuosa manifestazione come il Festival del paesaggio. Oggi uno splendido cameo. Domani un augurabile intaglio definitivo e caratterizzante. Benissimo il recupero del passato, ma bisognerà garantirgli continuità per lanciare il presente nel futuro.
Forse siamo, da varesini d’un conio ormai datato, di eccessivo disincanto. Forse di tremula fede verso noi medesimi. Forse da miserere e amen. Boh. Ma forse i delegati a governare l’amatissimo consesso civico cui apparteniamo dovrebbero tener conto d’un tale Dna, e dare risposte confortanti/definitive a domande genuine/collaboranti. Sia pure balzate fuori un po’ alla catasù, in una mattinata dall’esito meteorologico vago, tra nuvole, sole, pioggerella; schiarite, fredducolo, caldino. Seduti al caffè in piazza Monte Grappa, la torre del Loreti di fianco.
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