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Cultura

FILOSOFI MILITANTI

LIVIO GHIRINGHELLI - 22/09/2017

bobbioNel maggio del 1953 Nicola Abbagnano riunisce a Torino un gruppo di studiosi di filosofia, che si sforzano di orientare le loro ricerche fuori dalle tradizionali pregiudiziali metafisiche e con rinnovate cautele nei confronti di ogni forma di dogmatismo. Tra le figure di rilievo di quel circolo Ludovico Geymonat e Norberto Bobbio. Si tratta di una filosofia militante legata alla ricostruzione democratica del Paese. Già la Torino di Gobetti e Gramsci aveva saputo produrre a suo tempo il primo laboratorio antifascista e le prime prove di dialogo tra pensiero liberale e marxismo. A partire dai primi anni Cinquanta Bobbio e Abbagnano succedono a Martinetti nella direzione della Rivista di filosofia.

Bobbio fa parte di quell’aristocrazia intellettuale che dai banchi del Liceo d’Azeglio passa a quelli dell’Università, caratterizzandosi per il gusto verso le imprese culturali e al contempo per la militanza antifascista. Allievo di Gioele Solari, occupa dal 1948 la cattedra di filosofia del diritto a Torino. Si è avvicinato alle posizioni neoilluministe dal piano dell’analisi del linguaggio giuridico e dallo studio del diritto e delle libertà dei moderni. Affronta le problematiche connesse con la nascita e con lo sviluppo dello Stato moderno. Intende porre al riparo la nozione di libertà, che implica quella di ragione, dagli attacchi dei tradizionalisti come dagli innovatori a oltranza: la sua è una filosofia militante, che semina dubbi più che fondare certezze e che rifiuta di essere al servizio di un partito, di una Chiesa: Invito al colloquio (1951), Politica culturale e politica della cultura (1952).

Si sente un uomo di cultura impegnato a misurarsi con la storicità del presente e ritiene che il mondo borghese non possa sottrarsi al suo dovere storico. Per lui il mondo comunista oggi è sotto molti aspetti l’erede e la continuazione della rivoluzione tecnico-scientifica, che caratterizza il pensiero moderno. La costruzione dello Stato moderno si fonda sul riconoscimento dei diritti naturali e universali dell’individuo, della società del consenso, del libero scambio, della legittimità delle leggi positive, della costituzione di uno Stato che fa della distinzione e divisione dei poteri il presupposto di qualsiasi forma di governo rivolto a cittadini, che non saranno più sudditi. Qui è la sostanza dell’Illuminismo. E la liberazione dell’individuo avviene attraverso passaggi della storia che non fa salti. Va perciò individuato un terreno sul quale costruire forme di progressiva integrazione. Va presa coscienza dei legami tra la nuova società proposta dal comunismo e la concezione del mondo e della storia propria della civiltà borghese. I sostenitori della nuova società comunista accolgano pertanto i valori posti dalla civiltà liberale senza apriorismi. Bobbio si rivela un illuminista pessimista ben lontano da atteggiamenti romantici o decadenti. Sente l’esigenza di protezione dei diritti, ridimensionando l’importanza della loro fondazione, affermando la pericolosità di un discorso che affidi alla legittimazione la propria consistenza,

Durante la Resistenza ha manifestato la sua militanza attiva a partire dal 1943 nel Partito d’Azione. In una prima fase ha sviluppato la sua concezione morale della persona come valore assoluto (di ispirazione kantiana). Il suo giusnaturalismo (teoria dei diritti naturali) si è posto contro le sintesi consolatorie tra reale e razionale proprie dell’idealismo e contro l’esistenzialismo e le filosofie della crisi, che dilatano all’eccesso il paradosso della scelta (ripiegamento individualistico, fughe irrazionali, disimpegno civile). Ha poi preso distanza dal giusnaturalismo, incapace di distinguere il piano formale e pertanto universale della validità della norma e degli ordinamenti giuridici da quello del loro valore morale, che è sempre storicamente determinato (Studi sulla teoria generale del diritto, 1955; Teoria generale della norma giuridica, 1958: Giusnaturalismo e positivismo giuridico, 1965; Dalla struttura alla funzione, 1978).

Comune agli uomini di cultura deve essere una piattaforma culturale e insieme politica contrapposta alla cultura apolitica e dall’altro lato alla politica culturale dei partiti e alla figura dell’intellettuale organico. Al contempo Bobbio professa una concezione avalutativa della scienza del diritto, derivando dalla filosofia analitica il principio che il diritto sia costituito da prescrizioni (norme) logicamente irriducibili e dal positivismo giuridico il principio di effettività. Per cui il diritto è l’insieme delle norme dotate di efficacia reale in una determinata società.

Primo compito degli intellettuali è quello di impedire che il monopolio della forza diventi anche il monopolio della verità. Fra cultura e politica deve intercorrere un tapporto di non sudditanza, ma neppure di distacco reciproco, di indipendenza, ma non di indifferenza. Vanno perciò privilegiati il pungolo del dubbio, l’inquietudine perla ricerca, la volontà di dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose, il rifiuto di ideologie preconcette, l’assenza di toni faziosi e propagandistici, la capacità di riformulare incessantemente i problemi, soppesando argomenti e accogliendo obiezioni. Questa è la severa disciplina proposta da Bobbio. Non accettare i termini della lotta così come sono posti, bensì discuterli, sottoporli alla logica della ragione. Il che tutto corrisponde a irrequietezza dello spirito, insofferenza dell’ordine stabilito, aborrimento di ogni conformismo, spregiudicatezza mentale ed energia di carattere. Così si delinea un’immagine sobria e realista della democrazia. Contano non solo i nobili ideali, ma anche la buona amministrazione, la laboriosa ingegneria degli assetti sociali, prosa più che poesia. Le pretese di un tempo ora paiono esorbitanti, non è migliorata la qualità della nostra vita in comune, anzi sotto certi aspetti è peggiorata. Siamo cambiati noi, diventando più realisti e meno ingenui.

Da menzionare altresì, per le sue posizioni di socialismo liberale, Quale socialismo (1976) e tra le molte opere Una filosofia militante. Studi su C. Cattaneo (1971), Il problema della guerra e della pace (1978).

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