La giovane commessa di un bar in centro città mi serve il caffè: quando appoggia la tazzina sul piattino, mi accorgo che ha una svastica tatuata sull’anulare.
Sobbalzo, per fortuna solo tra me e me. Mi trattengo a fatica dall’interferire nel suo privato. Vorrei sapere perché proprio quel disegno: è consapevole del significato di quella croce uncinata, conosce la storia di quel simbolo, sa quanto dolore ci sta dietro, e dentro?
L’idea sarà stata sua, o di qualche amico? I suoi genitori, se ne sono accorti? Forse no.
Ma non è proibito, dirà qualcuno, ognuno è libero di tatuarsi sulla pelle quel che più gli piace e lo rappresenta, sia nelle parti visibili sia in quelle che restano esposte soprattutto d’estate: una farfalla, un serpente, una frase – Lei ama Lui – così come un motto in cirillico o in ebraico antico.
Sono rimasta zitta. Dopo mi sono rammaricata di non aver atteso che nel locale restassero pochi clienti per chiederle sottovoce ragione di quel tatuaggio.
Uso questa pagina per dedicare alla giovane commessa, la chiamerò Sara, una breve riflessione. Che le passerò in cartaceo, di nascosto dal suo capo, per non crearle problemi. Chissà se lui ha notato il tatuaggio, se gli piace o se, invece, appartiene alla categoria dei datori di lavoro moderni che apprezzano i tatuaggi, però non troppi e non troppo vistosi, di una dipendente giovane e carina.
Penso alla forza dei simboli della nostra quotidianità, alla loro silenziosa invasività: non ce ne accorgiamo, perché ne siamo circondati e compenetrati tanto che, se li dovessimo elencare tutti, ci stupiremmo di trovarci, oltre alla croce, alle bandiere, ai gagliardetti, i loghi delle nostre marche preferite, un anello, un cuoricino, un cartello stradale…
Ma i simboli di cui voglio parlare a Sara, nello specifico, sono quelli del periodo fascista e nazista. Il partito di Hitler, gliene avranno parlato a scuola, aveva fatto propri alcuni segni dell’alfabeto runico, come appunto le “SS”, a cui si aggiungevano altre immagini, come il dente di lupo, antico talismano delle tribù nordiche, che indica la forza del branco, la croce celtica,e altri simboli che da semplici segni grafici oggi stanno a indicare, senza equivoci, il ritorno di fiamma per un’ideologia distruttrice.
C’è una portata storica, dentro quei semplici segni, che trascina con sé concetti e idee indissolubilmente legati a drammatici eventi di discriminazione, violenza, sterminio, morte.
Difficile che la giovane Sara sappia che la Camera dei Deputati ha da poco approvato una legge, proposta da Emanuele Fiano, ebreo e figlio di Nedo, sopravvissuto alla deportazione nazista nel campo di concentramento di Auschwitz, uno dei più attivi testimoni dell’esperienza dell’Olocausto.
La legge è costituita di un solo articolo: “Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”.
Possiamo paragonare il tatuaggio sull’anulare di Sara ai saluti romani, alle divise delle camicie nere delle teste rasate, alle feste per commemorare il compleanno di Hitler?
Credo di no, anzi, sono certa che Sara non è consapevole della portata del suo gesto.
Mi immagino che i suoi professori, a scuola, perché dalla scuola ci si passa tutti, almeno fino a sedici anni, non abbiano ritenuto di mostrare alla classe un documentario, o un film tra i tanti, sulla deportazione e sulla vita nei lager. A volte ragionano così alcuni insegnanti, è meglio preservare i ragazzi dallo choc derivante dalle immagini a cui non potremo assuefarci mai. Avranno ritenuto che quei giovani avranno il tempo e la possibilità, da adulti, di informarsi da soli sulle tragiche vicende della nostra storia più vicina.
Questo tempo, è chiaro, per Sara non c’è stato. Anche se lei non è filonazista né intende propagandare le idee razziste e violente del nazifascismo. Ma così vengono “sdoganati” anche i simboli dell’orrore e una svastica si riduce a un logo, al pari di quello dell’Invicta, della Timberland, di Armani o della squadra di calcio del cuore,
Vedo già lo sguardo stupito di Sara per tutte queste parole intorno al suo tatuaggio che è solo un disegno carino inciso sull’anulare.
E dunque, incomprensibile per lei, sarà che qualcuno le stia proponendo una discussione troppo seria su un fatto ritenuto di poca importanza.
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