Non è sempre vero che i giornalisti vanno a caccia di notizie. A volte accade il contrario: è la realtà che viene a bussare alla tua porta. È capitato a un mio, bravo, collega del Giornale Radio, Ivano Liberati, quando in vacanza è stato informato dalla polizia che la sua colf era stata assassinata. Era stato rintracciato grazie all’agenda della vittima. Ma non solo assassinata; una volta uccisa, anche tagliata a pezzi e gettata in alcuni cassonetti.
È la vicenda di Nicoletta Diotiallevi e del folle fratello omicida che ha riempito le pagine di cronaca dei giornali ferragostani. “Ci eravamo salutati a fine luglio, come ogni anno. Sul tavolo della nostra sala un suo biglietto: “ci rivediamo a settembre” mi racconta ancora incredulo. In mezzo c’erano le ferie che amava trascorrere facendo corsi di Tai-Chi, questa antica disciplina orientale alla quale si era appassionata da un po’ di tempo e che a volte la portavano anche a dei brevi viaggi fuori dall’Italia.
“Nicoletta – prosegue – era una donna semplice, riservata, una di quelle collaboratrici domestiche che quando la trovi dici: sei stato fortunato. Di lei in realtà non sapevamo molto. Conservava gelosamente i disegni dei nostri figli. Ci raccontava di questo fratello che spesso non stava bene, delle discussioni perché lui era da tempo senza lavoro e con il quale alla fine era andata a vivere nella casa di via Guido Reni. Lei non lo diceva e io forse non avevo il tempo di capire e andare oltre l’apparenza di quello sguardo spesso infelice. Per il resto mi parlava delle sue giornate di volontariato alla mensa dei poveri gestita dalla comunità di Sant’Egidio che le davano grande soddisfazione. Chi poteva immaginare che un giorno, facendo uno sforzo sovrumano, mi sarei dovuto occupare per il Giornale Radio anche di lei?”.
Via Guido Reni, via del Vignola, via del Pinturicchio sono strade che attraversano il quartiere Flaminio-Parioli, una volta considerato bene e che convergono in piazza Gentile Fabriano dove nella notte tra il 21 ed il 22 Gennaio 2016 un palazzo sul Lungotevere collassò e una strage evitata per un soffio. Quasi un presagio del decadimento collettivo capitale. Al mercato rionale non è raro vedere qualche anziano contare gli spiccioli nel portamonete per controllare se può acquistare un po’ di carne o di formaggio. Sono mogli o vedove di alti funzionari pubblici, una volta benestanti ma che la crisi del ceto medio ha fatto rotolare lentamente in basso con pensioni non certo d’oro ma forse d’ottone come i pesanti corrimano dei palazzoni anni Quaranta.
Un quartiere che più di altri mostra il brutale cambiamento della Capitale dove essere statale una volta era visto con invidia.
“Una zattera ancorata al centro ma con una corda lenta e flessuosa. Ci passi, ma non ti fermi” lo descrive il giallista Giovanni Ricciardi. Roma è anche questa. A un tiro di schioppo dai palazzi del Potere si consumano vite anonime, tra paranoie e le mille difficoltà del vivere quotidiano. Solitudini che a volte, per fortuna raramente, sfociano in tragedia. Che per lo più contribuiscono a tracciare la mappa di una città sempre meno solidale e sempre più rancorosa.
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