Sono tempi in cui l’agricoltura italiana esercita capacità d’attrazione sui giovani e creatività nella sperimentazione di nuovi percorsi. L’agricoltura ha un rapporto diretto con la salvaguardia, la produzione e la definizione stessa di beni comuni, quali la biodiversità. Il paesaggio, la sicurezza idrogeologica.
È forse suo scopo quello di aumentare la quantità a tutti i costi? Di standardizzare il processo lavorativo con pertinacia? Non è forse primario l’obiettivo della sostenibilità invece dello sfruttamento accanito e improvvido delle risorse? Oggi spesso si verifica uno scollamento definitivo dell’attività produttiva dal luogo e dal contesto, in cui opera ed è sempre più scavata la distanza tra Paesi sviluppati e sottosviluppati, con la creazione di imperi agroalimentari (conseguenza è l’accaparramento di terre ed acque).
Di qui l’esigenza sempre maggiore di fare agricoltura sul fondamento della coproduzione e della coesistenza colla natura. La multifunzionalità è stata riconosciuta ufficialmente a partire dagli anni Novanta. Una prima definizione si rinviene nel1998 durante la Conferenza dei ministri dell’agricoltura dell’Ocse, in contrasto con lo spopolamento, l’abbandono e l’impoverimento delle zone e delle comunità rurali. L’approfondimento si riferisce a innovazioni quali la produzione biologica o di prodotti tipici, specialità regionali e di alta qualità, la trasformazione in azienda e vendita diretta e si prospetta un allargamento dei confini dell’azienda verso attività non agricole, quali la produzione di energia, l’agriturismo, le fattorie didattiche, l’agricoltura sociale (per l’inserimento lavorativo di soggetti deboli, i servizi alla persona, la gestione delle foreste o del verde pubblico).
La Carta rurale europea del 1996 contempla qualità e sicurezza alimentare, benessere degli animali, in alternativa all’agricoltura industriale coi suoi miraggi di standardizzazione ed omologazione delle produzioni. Il Decreto Legislativo n.228 del 2001, voluto dalla Coldiretti e dal Ministro dell’agricoltura, Alfonso Pecoraro Scanio. Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, prevede all’art.4 la possibilità per l’azienda di vendere direttamente i propri prodotti, che coinvolge quasi 20.000 agricoltori. Aumenta la consapevolezza della filiera produttiva, sono messe in luce qualità, origine e storia di ogni prodotto alimentare di contro al cibo anonimo. Ne trae vantaggio la sensibilità etica e ambientale. E si contrasta l’esodo dalle campagne. Oggi un terzo delle aziende italiane si qualifica per la multifunzionalità e si deve notare la particolare resilienza nei confronti della lunga crisi economica.
L’indicatore di reddito agricolo risulta positivo per l’Italia anche grazie all’ingresso dei giovani con la loro passione e creatività. Così mutano i modelli di consumo e gli stili di vita e si sviluppa la lotta agli sprechi. Il nuovo tipo di aziende crea coesione, si ricostruiscono le comunità, si impone la rilevante realtà dell’agricoltura sociale con percorsi di cura terapeutica e riabilitativi, specie per malati psichici. Già si annoverano 1.100 realtà di questo tipo di agricoltura, che operano in rete sul territorio con enti locali, associazioni di volontariato e organizzazioni del Terzo settore. Notevole il recupero di costi ed efficienza, apprezzabile la potenzialità nella lotta all’emarginazione sociale. Significativo il ruolo nella costruzione di un nuovo welfare, relazionale e sussidiario.
Il giardino in movimento di Gilles Clément, paesaggista e agronomo francese, propone nel giardino la realtà del rapporto tra uomo e natura nell’includere il paesaggio (il sentimento che l’ambiente suscita, l’aspetto culturale) e l’ambiente (lo stato delle cose, la componente più oggettiva e scientifica).
È uno spazio chiuso che rimanda a un limite e serve a custodire il meglio. Non si potrebbe pensare al pianeta come ad un giardino planetario? Questo perché l’ecologia scientifica ci ha rivelato la finitezza della vita sulla terra, rimandando l’umanità al suo ruolo di garante della vita divenuta rara e fragile.
Due i modelli che ci stanno davanti: quello agroindustriale che contempla solo una crescita dimensionale e lo sfruttamento intensivo delle risorse e non si preoccupa delle conseguenze dei processi inquinanti e quello che punta alla qualità, alla sostenibilità dei processi, alla tutela e rigenerazione delle risorse e affronta la fragilità della vita sulla terra.
Ci conforta la situazione dei giovani: l’8,4% delle imprese che li riguarda (50.543 le iniziative guidate da under 35) si distende per tutto il Paese, la maggior parte al Sud e nelle isole(26.587), il resto ripartito tra Nord Ovest, Nord Est e Centro. Tra le new entry dal punto di vista della qualificazione ben metà è di laureati, il 57% fa innovazione.
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