La Svizzera è stata per anni la meta dei nostri picnic domenicali. Si partiva con la Seicento bella lustra, asciugata con la pelle di daino se per caso era piovuto (non vogliamo che restino, vero, queste macchioline opache a guastare i profili d’argento?); e un cesto di vimini intrecciato, formato valigia, un parallelepipedo spigoloso chiuso col suo bel bacchetto che scorreva in due occhielli, pieno di ogni ben di Dio.
Eh sì, perché il franco allora era un lusso, e poi le lirette mica te le accettavano negli esercizi pubblici ticinesi… Solo i microscopici centesimi trovavano posto in borsetta, giusto per l’inevitabile parchimetro. (Ma pensa questi elvetici cosa si inventano, perfino il posteggio si deve pagare!).
Dentro la valigetta ci stava una bottiglia d’ acqua fatta con l’Idrolitina, un thermos di tè caldo, panini imbottiti, un tubo di maionese, un vasetto di sottaceti, torta fatta in casa. Plaid a quadretti e un nécessaire in pelle con tre posate tre, pieghevoli, che dormivano in un bicchiere di vetro piatto avvolte nel tovagliolo a quadretti, completavano l’attrezzatura. E naturalmente, il bagaglio più importante, il passaporto. Guai a dimenticarlo, e ci doveva essere pure segnato il nome dei bambini, se no, a Ponte Tresa, dietrofont!
E allora perché proprio la Svizzera? Perché Svizzera voleva dire il Monte Bré, il trenino del Generoso, la magia della Suisse Miniature, il laghetto ghiacciato di Cappellagnuzzo, la neve del San Bernardino, il San Mamete… un arcobaleno di posti spettacolari, che mi padre amava per sue ragioni personali.
Ma riconosciamolo, oltreconfine ci si andava anche per motivi più venali: costavano meno le sigarette – e pare fossero migliori –, pochi pacchetti alla volta, contati scrupolosamente dal finanziere al ritorno; la benzina, un classico, anche se allora se ne consumava proprio pochina; il cioccolato quello vero, con i mirtilli, con le bollicine, bianco, al caffè, fondente a mattoncini duri come pietra; il caffè, in grani naturalmente, col premio di un chicco d’oro ogni tot sacchetti (ed era oro vero!); in aggiunta ci scappava il Moretto, una schifezza spumosa stradolce, ricoperta da una sottile glassa nerastra incartata di stagnola, e le caramelle Sugus, squisiti cubetti di mou rosa, verdi e giallini, che legavano i denti come mastice.
Ma soprattutto, le mamme volevano andare in Svizzera per comperare il loro ingrediente segreto: il dado di pollo Maggi. Senza quel tocco svizzero, cosa sarebbe stato del loro famoso risotto giallo?
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