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Nonno di frontiera

A VOLTE RITORNANO

GUIDO BELLI - 28/07/2017

apisLa prima volta che mia figlia è tornata dalla California, me la ricordo bene perché ho avuto l’infarto.

È stata una coincidenza del tutto casuale: infatti, dopo che è partita sette anni fa, è venuta a trovarci altre volte, ed io non sono più finito all’ospedale.

La cosa non deve far pensare che il suo ritorno sia in qualche modo derubricato. Anzi. La burrasca conseguente è diventata sempre più simile ad un uragano.

Quando quest’anno lei, suo marito, i loro due figli, sei enormi valige, alcune borse e un passeggino sono venuti a trovare i nonni, questi sono stati colti ampiamente impreparati. Dopo la partenza della carovana, mia moglie ha chiesto e ottenuto quindici giorni alle terme.

La questione è che i viaggi in Italia dei nipoti avvengono a distanza di tempo, di norma ogni diciotto mesi.

Ad ogni incontro, ciascuno pensa che l’altro sia come lo aveva lasciato. Invece, nel frattempo il nonno è diventato più nonno e i nipoti più grandi, lontani dalla reciproca quotidiana esperienza.

Ora, crescere ed invecchiare sono processi silenti, continui e globali. Avvengono con cambiamenti trascurabili e impercettibili di ciò che abbiamo davanti agli occhi, così che fatichiamo ad accorgercene.

Si tratta di una trasformazione silenziosa che si compie nella durata. Senza che nulla si smarchi, il nonno di frontiera muta. Il suo inavvertibile ed inesorabile evolversi è un graduale scivolare da uno stato ad un altro, non essendo mai completamente né nell’uno, né nell’altro, trasportato da una variazione lenta e continua, senza che egli possa riconoscerne il punto di partenza e di arrivo.

Il nonno di frontiera non rinnova solo il suo guardaroba, togliendo dall’armadio la moda primavera-estate e sostituendola con quella autunno-inverno. Come quando, incontrando a distanza di tempo una persona, non la ri-conosciamo perché tutti i predicati possibili non sono sufficienti a specificarne il cambiamento, così egli vive una trasformazione che non è descrivibile unicamente attraverso le proprietà attribuibili al suo essere.

È l’essere stesso del nonno di frontiera ad essere coinvolto, diventando a poco a poco qualcos’altro di sconosciuto, a volte di inesprimibile, ma concreto come qualsiasi stato emotivo. È una metamorfosi del suo sé, non una semplice variazione delle caratteristiche del suo essere. Il suo stato è il processo. Immaginiamo lo sciogliersi della neve: non è più neve, non è ancora acqua. È l’atto della trasformazione.

Il nonno di frontiera è un essere per il quale l’arrivo dei nipoti ha il valore di un avvenimento dirompente, che porta alla coscienza una condizione, una evoluzione sotterranea in corso da tempo, che in quell’evento gli si manifesta in modo sonoro, palese, travolgente.

Al nonno di frontiera si para davanti agli occhi, evidente, lo scarto tra il suo sé di ora e il suo sé di prima.

Il pomeriggio dell’ultimo giorno prima di partire e fare ritorno a casa sua in California, mio nipote, chiuso in camera per il sonnellino pomeridiano, forse faticando ad addormentarsi, ha pensato di interessarsi alle qualità organolettiche della crema di apis mellifica, un rimedio omeopatico che si ottiene dalla tintura dell’ape intera e del suo veleno diluito in alcool, usato nella nostra famiglia per lenire gli effetti delle punture di zanzara.

Sua madre ha scoperto questa sua non comune inclinazione quando, andando a vedere se si fosse svegliato, ha trovato il tubetto, un tubetto quasi nuovo dimenticato su un tavolo poco prima, spremuto e vuoto. Non vedendo tracce del suo contenuto nella stanza, chiesti lumi al pargolo riguardo a dove fosse finito l’unguento, questi, con un candore tale da rendere inefficace qualsiasi azione minaccioso-educativa nei suoi confronti, ha spiegato che se l’era mangiato e che era buono.

Quando mia figlia ha telefonato per chiedere il da farsi, il nonno di frontiera ha sfoderato il suo sangue freddo e ha reagito prontamente alla notizia, informandosi per prima cosa se il ragazzino, parlando, intercalasse versi tipo bzzz bzzz, oppure manifestasse desiderio di annusare i fiori del giardino.

Mia moglie, invece, per carattere incline al tragico e, per consapevolezza professionale, a considerare il lato medico della faccenda, si è spaventata moltissimo. Così abbiamo chiamato il Centro antiveleni.

Questo, sentito l’accaduto, in carenza di casistica analoga e di dati sulla composizione di quanto ingerito, ha potuto dare solo indicazioni generiche. Nel frattempo, il nipote giocava serafico con le costruzioni, incurante del trambusto intorno a lui.

Il giorno dopo, all’aeroporto, vedendoli sparire al di là del controllo di sicurezza, ho provato un certo senso di leggerezza.

Un punto rimane: com’è il sapore dell’apis mellifica?

P.S.: l’ingestione del rimedio non ha avuto conseguenze. Valga come precedente per quanti leggono, dovesse mai capitare loro un caso analogo.

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