Può un bravo insegnante instillare rabbia e odio?
La risposta è NO, senza condizioni e senza ripensamenti. Ovvero: senza “se” e senza “ma”.
Non si può proprio essere un insegnante, o un educatore, né bravo né cattivo, se non si crede nell’educabilità dell’essere umano: l’educazione è un percorso che aiuta a essere migliori di come la natura ci vorrebbe.
Chi si assume il compito di educare o di insegnare non può permettersi di esternare malvagità, violenza verbale, volgarità che potrebbero, forse, ma solo forse, essere spiegate come prodotto di una momentanea perdita di lucidità.
In ciascun essere umano albergano sentimenti contraddittori, tutti siamo buoni o cattivi, meglio: buoni e cattivi. Ognuno di noi, la psicanalisi lo ha esplicitato con chiarezza, ospita anche l’ombra, la parte oscura del cuore e della mente.
Ma colui che educa, ad esempio un insegnante, “deve” aver imparato a tenere a bada le proprie pulsioni negative, dopo averle riconosciute, denominate e reindirizzate.
Altrimenti?
Altrimenti dovrebbe svolgere un altro lavoro. Chi insegna funge da modello per il minore che gli viene affidato, dalla famiglia o dalla società.
Il fatto: qualche giorno fa Floriana, una maestra, forse ancora in servizio ma più probabilmente già in pensione, magari anche brava e amorevole con gli alunni e con i propri figli, posta sui social una frase orribile all’indirizzo degli immigrati: oscena al punto da non poter essere trascritta su questa pagina.
A Floriana si accodano Teresa e poi Simone e poi numerosi altri. Rabbiosi perché hanno appena letto, ma era una fake news, che uno straniero ci voleva sgozzare tutti, noi occidentali. La frase più ripetibile nella sequenza dei “mi piace” è che bisognerebbe portarli, gli immigrati, nel deserto, e lasciarli morire di fame e di sete.
Tra i frequentatori dei social c’è qualcuno che vorrebbe un argine alla scorrettezza in rete.
Fa un balzo sulla sedia il giornalista Paolo Di Paolo. Contatta Floriana e si trova davanti una foto dove lei sta in piedi in una classe, circondata dai suoi piccoli allievi con il grembiulino azzurro.
La maestra prima si difende con malagrazia: “Sì, ho diritto di scrivere liberamente quello che penso, perché?” Poi prova a spiegare perché ha scritto quelle cose: tutta colpa di questa situazione insostenibile, con la marea di profughi che si riversa nel nostro paese. Ha postato frasi così forti per “smuovere idee e convinzioni”. In fondo “lei non è quella lì”, cioè quella che mette certe parole sui social.
Che cosa penseranno o diranno della loro maestra i genitori della scuola di Floriana? Che è stata coraggiosa a dire quello che pensa? Oppure sono preoccupati di dover affidare i loro piccoli a chi educa all’odio razziale?
L’incitamento all’odio razziale sarà magari inconsapevole. Io sono quasi certa che una maestra come Floriana insegnerà serene poesie di Natale, sulla pace e sull’amore universale; preparerà in classe bigliettini d’auguri per le feste del papà, della mamma e dei nonni. E con la sua scolaresca in occasione della Pasqua dipingerà le uova, simbolo della rinascita a nuova vita, segno della vittoria della vita sulla morte.
Mi colpisce più di tutto, in questa brutta storia, la pretesa di proclamarsi diversi da come ci si è presentati “quella” volta – in un momento di rabbia – aggiungo io; la capacità di sdoppiarsi: a scuola e a casa sono buona, invece nel vasto mondo, cattivo e pericoloso, mi tocca essere aggressiva, violenta e vendicativa. Ma solo a parole.
Chi legge il post e aderisce, poi condivide, dando libero sfogo alle pulsioni, saprà in altre occasioni governare la propria “pancia”?
Le parole hanno un peso e comportano qualche responsabilità, signora maestra.
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