A volte capita che alcuni personaggi, indipendentemente dal loro reale operato, entrino nell’immaginario collettivo per tutta una serie di qualità che non posseggono: fu così per Garibaldi, per John Fitzgerald Kennedy, e ai giorni nostri con Barack Obama. Ebbene, nonostante il Nobel per la pace ottenuto per non chiariti meriti pochi mesi dopo essere stato eletto, non siamo mai stati così vicini alla Terza Guerra Mondiale come durante la permanenza di questo presidente alla Casa Bianca.
Anche in Russia si sta tanto rivalutando la figura di Stalin, che nella realtà fu – a nostro modo di vedere – inferiore soltanto ad Hitler per indole funesta. Eppure, secondo il centro demoscopico Levada, la metà dai russi intervistati (il 46%) ha espresso simpatia e rispetto per lui, a sessantaquattro anni dalla sua morte. Ciò assume un significato inquietante visto che, nel prossimo mese di ottobre, ricorrerà il centenario della rivoluzione bolscevica, quella che ebbe in Stalin il suo realizzatore e dalla quale tutti i comunisti occidentali hanno preso le distanze per l’uso che lui fece di un anelito di libertà e di uguaglianza, che era bellissimo nella sua formulazione filosofica.
Che cosa c’entri poi il dittatore georgiano con Obama è perfino troppo facile da dimostrare, anzi, possiamo dire che ci voleva un presidente americano per fare ritornare in auge la rivoluzione russa e Stalin. Ma arriviamoci per gradi, partendo da questa domanda: «Quali sono oggi i poli di riferimento politico e militare che reggono gli equilibri nel mondo?». Di certo non sono più gli stessi che, fino al 1989, opponevano l’Est all’Ovest, perché se prima il centro di quell’equilibrio era riconducibile al binomio URSS-USA, oggi è difficile intravedere un credibile centro dominante con il quale fare i conti. A tutto ciò bisogna aggiungere la frustrazione del popolo russo al quale, con l’implosione dell’URSS, è venuto a mancare il riferimento identitario di un regime – quello marxista – che almeno una pensione, uno stipendio e una casa la garantiva a tutti. Oggi, invece, con il rublo che ha perso quasi metà dal suo valore, con il calo del prezzo dei prodotti energetici, con la lunga crisi ucraina e le sanzioni imposte alla Russia di Putin dall’Occidente filoamericano, è venuta del tutto a mancare la sicurezza dei cittadini, per molti dei quali Stalin incarnava l’orgoglio nazionale.
Approfittando di questa debolezza politica e strutturale della Russia, fin dal suo primo insediamento alla Casa Bianca, il “pacifista” Barack Obama ha avuto una sola cosa in testa in fatto di politica estera: espandere l’influenza americana nel mondo e isolare la Russia di Putin per il tramite della Germania e dell’Unione Europea: i costi di una tale operazione sarebbero ricaduti in buona parte sulle spalle dei Paesi comunitari, Italia in testa, che si prevede perderà dodici miliardi di euro in esportazioni verso la Russia e si ritroverà con 200.000 disoccupati in più.
Ma oltre alla sicurezza economica ai russi è venuta a mancare anche quella militare perché, quando implose l’URSS, fu bilateralmente stabilito che i Paesi che avevano fatto parte del Patto di Varsavia non sarebbero dovuti entrare nella NATO. E, invece, ve ne sono già entrati una decina, con l’aggravante che l’alleanza occidentale vi ha anche schierato delle truppe, come in Polonia e nelle repubbliche baltiche, in pratica a poche centinaia di chilometri da Mosca. Ciò ha dato ai russi non soltanto il frustrante senso della debolezza militare ma anche quello più pericoloso dell’accerchiamento, una tattica su cui in genere fanno leva le dittature per mantenersi al potere, e Putin vi sta attingendo a piene mani.
È stato per tutte queste ragioni che in Russia è tornata in auge l’immagine di Stalin, “il piccolo padre”, l’uomo forte che a Yalta nel 1945 impose al colosso americano e all’Inghilterra la propria visione dell’Europa post-bellica e che nel giro di qualche anno fece diventare la Russia dei mugik una potenza nucleare.
Siamo desolatamente persuasi che, pur nel suo ciclico alternarsi, la storia non insegni nulla agli esseri umani, sennò ricorderemmo che la seconda Guerra Mondiale non scoppiò il 1° settembre del 1939, come riportano i libri di storia, ma vent’anni prima a Versailles dove con l’omonimo trattato furono imposte condizioni di pace così insensate alla Germania da far esclamare al Generale francese Foch: «Questo non è un trattato di pace ma un armistizio lungo vent’anni». E fu un infallibile profeta!
Ma per gli insoluti problemi globali che ha d’avanti l’umanità non ha vent’anni a disposizione per poter scacciare i sinistri fantasmi del passato che si intravedono all’orizzonte. E Stalin è soltanto uno di essi.
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