Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Il Mohicano

L’ULTIMO SEGRETARIO

ROCCO CORDI' - 21/07/2017

pciAnche nel luglio del 1987 il caldo, non solo quello climatico, si faceva sentire. Particolarmente calda era l’aria che si respirava nel “bunker” di viale Monterosa, sede storica del Pci varesino.

Qui l’esito del voto aveva reso il confronto interno molto più teso di quanto già non fosse diventato, dopo la morte di Enrico Berlinguer, avvenuta tre anni prima.

Qualche settimana prima, il 14 giugno, si erano svolte le elezioni politiche e il Pci aveva subito una pesante sconfitta. A livello nazionale si erano persi circa 800mila voti degli undici milioni conquistati nelle elezioni politiche precedenti (-3,3%).

Più dura la sconfitta in provincia con la perdita di circa 21 mila voti dei 138mila ottenuti nel 1983 (-5,4%).

Il dibattito sulle cause della sconfitta era reso ancora più acuto oltre che dalle diverse chiavi interpretative di ciò che stava succedendo nella società e dunque della inadeguatezza della linea politica del partito, da altri due fattori locali: la mancata rielezione del senatore Francesco Pintus e la necessità di procedere al cambio del segretario provinciale a seguito della elezione in parlamento di Luigi Mombelli, che aveva guidato il partito nell’ultimo decennio.

È in questo contesto che la nomina del nuovo segretario si carica, inevitabilmente, di significati che vanno ben oltre la scelta di una persona. In realtà lo scontro interno era iniziato parecchi mesi prima quando, definite le candidature, si era cominciato a parlare del futuro segretario.

Negli organi dirigenti più ristretti si era deciso di scegliere un compagno che si collocasse in perfetta continuità con il passato. La scelta, avallata anche dalla direzione regionale, veniva prontamente e apertamente criticata da un altro pezzo del gruppo dirigente che, invece, sosteneva la necessità di operare una forte discontinuità con il passato.

Per loro la gestione precedente era stata troppo condizionata dalle tendenze moderate, definite “miglioriste”, e viziata da una cultura governista che qua e là tendeva a privilegiare le alleanze (in particolare con la Dc) e piuttosto cedevole sul piano dei contenuti.

L’esito del voto contribuisce dunque a fare precipitare il confronto interno al punto che le diverse anime critiche decidono di puntare su una soluzione alternativa, un segretario cioè diverso da quello indicato dal gruppo ristretto e una nuova segreteria in grado di garantire il perseguimento di una svolta sia nelle pratiche politiche che nelle scelte programmatiche.

È così che il primo maggio di quell’anno, al termine della tradizionale manifestazione, un gruppo di compagni mi chiede di appartarci per parlare di “cose serissime”.

Posso facilmente immaginare di cosa si tratti anche perché nelle settimane precedenti altri compagni si erano già attivati per sondare la mia disponibilità a candidarmi. Pur condividendo le ragioni politiche dei dissenzienti e lusingato per la proposta formulatami, chiedo del tempo per riflettere.

Per me si tratta di assumere una decisione tutt’altro che facile. In primo luogo perché accettare la richiesta implica le dimissioni da Segretario generale della Cgil in un momento particolarmente impegnativo e difficile per il sindacato.

Altrettante preoccupazioni suscitava in me la consapevolezza che l’eventuale accettazione della proposta avrebbe acuito lo scontro interno al partito. Mai prima di allora si erano verificati casi espliciti di candidature contrapposte.

Dopo una tormentata fase di riflessione e la verifica che il mio possibile successore in Cgil può contare su un vasto consenso, decido di accettare la sfida.

Come era prevedibile il dibattito nel Comitato federale, l’organismo dirigente provinciale del partito, assume toni e modalità inediti. Le riunioni e gli interventi si susseguono in un clima teso, ma senza infingimenti di sorta e nel rispetto reciproco.

Anche i tentativi di compromesso vengono respinti con determinazione e alla fine, quando ormai appare chiaro che sul mio nome si è formata una significativa maggioranza, la prima proposta viene ritirata. A quel punto non resta che il voto.

Ma non è più tempo di unanimità e di ipocrisie. Il voto registra la frattura interna. Su 70 votanti, i voti favorevoli sul mio nome sono 60, astenuti 7, contrari 3. Una decina di componenti aveva invece deciso di manifestare il proprio dissenso dalla conclusione che si andava configurando assentandosi al momento del voto. Oggi un tale esito è considerato normale. Allora rappresentava un fatto nuovo e, per molti versi, sconvolgente.

Un segretario eletto con tre quarti dei voti, considerando anche gli assenti per scelta, non si era mai visto. Alcuni lo considerarono un segno di “modernità”, un atto innovativo in un partito che rompe con le vecchie tradizioni unanimistiche e si apre al “nuovo”.

Io invece vedo in quel dibattito e in quel voto il segno di una frattura profonda e non facilmente ricomponibile. Il confronto infatti non riguardava soltanto la formazione dei gruppi dirigenti, ma il ruolo e la funzione della sinistra in un mondo che stava cambiando pelle.

C’era chi voleva misurarsi con i profondi processi di trasformazione che in quegli anni ottanta “anticipavano” la cosiddetta globalizzazione, e c’era chi pensava che fosse sufficiente correggere le anomalie o gli effetti più gravi di quei processi.

Lo scontro tra queste opposte visioni durerà ancora a lungo, ma già alla fine di quegli anni “80 si andava configurando l’esito di un processo che avrebbe messo nell’angolo la sinistra, intesa nella sua accezione più ampia politica e sociale.

La mia avventura di segretario provinciale dura fino al 1990. L’anno dello scioglimento Pci. Ho fatto la mia parte da ultimo segretario fino in fondo contrastando la “svolta” occhettiana che, contrariamente alle enunciazioni e alle aspettative, non segnerà l’inizio di “magnifiche sorti e progressive”.

Per la semplice ragione che soluzione del problema non stava nel cambiamento del nome e del simbolo, ma nella capacità di dare risposte alle domande e ai bisogni di un cambiamento economico e sociale che non avrebbe prodotto di per sé una nuova era.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login