Le quotidiane boutade/gaffe di Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e candidato premier d’un eventuale futuro governo a guida Cinquestelle, sbalordiscono anche i disponibili a concedere al predestinato speranza, e perfino credito. Nel mondo cattolico, per esempio, non si guarda con prevenzione all’universo grillino. Lo si osserva con realismo, secondo l’antica regola. Ciò che conta è la capacità, restando fermi/inamovibili i valori di fondo della casa (della fede). Qualora i secondi vengano rispettati, sia pure con acrobatiche correzioni di volo tattico, non esiste ostacolo al dispiegamento della prima. Ma se la prima (la capacità, non distraetevi) latita, appare insufficiente e svapora di giorno in giorno, non c’è attesa bendisposta che regga.
Dunque, e questo risulta un danno per tutti, l’alternativa a ciò che non va è ciò che andrebbe ancor peggio? Il quesito è zero ozioso. E invece tutto pragmatico. In un Paese che funziona, si gareggia al meglio. Vince chi si dimostra più bravo di chi. Non chi raccoglie, per disperazione degli elettori, i cocci/le rovine dei danni causati dal nemico. Sulle macerie bisogna costruire, per costruire necessita avere i requisiti d’abilità, per avere i requisiti d’abilità si deve disporre di conoscenza e scienza. Cogliere i problemi, saperne individuare le soluzioni. Se no, da un male si trasloca a un male successivo. Addirittura di maggior gravità, talvolta.
La bocciatura dell’M5S alle recenti amministrative deriva da un verdetto negativo/spietato a proposito di stima nella talentuosità dei concorrenti schierati. Poco credibili alcuni, meno ancora il resto. Al netto del populismo dilagante, i cittadini (uno vale uno) han bocciato i portatori discutibili di strategie non convincenti. Dalle urne è venuta la conferma: esiste, eccome se esiste, un deficit di classe dirigente imperante. Ma anche un deficit bis di classe dirigente aspirante. Risultato: o si sceglie per difetto (tizio è meno peggio di caio) o non si sceglie affatto. Al mare, al mare! Una gita qualunquistica, certo. E però con le sue attenuanti/motivazioni non generiche che han convinto la folla degli astensionisti.
Preso atto d’un tale insieme, Di Maio et similia farebbero bene a compiere il passo indietro, lasciando andare avanti quanti si dimostrassero di rango superiore per, chissamai, un giorno governare. Si dimostrassero e si dimostrerebbero. La società civile italiana sa esprimere personalità di rilievo capaci di svolgere, se del caso, ruoli politici. Siccome esistono, le si arruoli. Il vero cambiamento è ravvisare i propri difetti lasciando il campo alla virtù altrui. Un gesto di non facile umiltà/rottura con il conformismo. Un gesto rivoluzionario, alla nostra latitudine di pelosa conservazione. Un gesto che richiede coraggio. Audacia. Temerarietà. Siamo a questo: ad augurarci l’incoscienza d’avere una coscienza, per bizzarro che possa sembrare.
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