Con papa Francesco la Chiesa è passata, potenzialmente almeno, dal primato dei principi astratti all’ideale di vita secondo il Vangelo. Il Sinodo, espressione visibile della collegialità episcopale, nato con il Concilio, ma da allora sottoutilizzato, convocato in una prima assemblea straordinaria nell’ottobre del 2014 e in una seconda ordinaria nell’ottobre del 2015, pastorale sì, ma chiamato a toccare temi dalle profonde implicazioni dottrinali, ha rivelato tensioni e contraddizioni.
Nella prima occasione il Papa, che fa pubblicare testo e voti, finisce sotto. I tre paragrafi chiave, preparati dai suoi uomini, uno sui gay (118) e due sulla possibilità di impartire l’Eucaristia ai divorziati risposati (104 e 112) non superano il necessario quorum dei due terzi.
Nel 2015, dopo una faticosa mediazione nei gruppi linguistici, specie nel gruppo tedesco, teologicamente più attrezzato, il secondo testo, limato , depennata la questione dell’omosessualità, mentre spunta la parola Eucaristia in merito ai divorziati risposati, passa per una manciata di voti e con l’opposizione di quasi un terzo dei Padri.
Per Francesco l’Eucaristia, in una Chiesa ospedale da campo, non è “un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (v. nell’ottavo capitolo di Amoris laetitia la nota a piè di pagina n.351). Firmata il 19 marzo 2016 e pubblicata l’8 aprile l’esortazione apostolica è accolta da un acceso dibattito.
Eppure non si dovrebbe immaginare una Chiesa disincarnata, il Vangelo non è una dottrina avulsa dalla storia, bensì un dono di grazia che include il suo interlocutore in modo decisivo. Quattro cardinali, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner e Walter Brandmüller, pubblicano una lettera al Papa, inizialmente privata, per esprimergli i loro dubbi dottrinali (dubia).
Accanto all’opposizione aspra e frontale c’è però chi sottolinea che in molti altri punti (matrimonio eterosessuale, monogamia, critica della teoria del gender) il testo papale è in linea colla tradizione, chi si schiera comunque col Papa regnante, chi ammette l’opportunità di riformare comunque la pastorale familiare.
Compito della teologia è di approfondire il senso del matrimonio come sacramento dell’agape e dunque il rapporto tra l’eros sponsale e l’agape, che è irriducibile a un comando (il dono di Dio anticipa l’uomo).
I vescovi tedeschi (linee guida di febbraio) ammettono in singoli casi e a valle di un processo di discernimento all’interno della comunità cattolica, l’ammissione all’Eucaristia. L’episcopato polacco (come i lefebvriani) reagisce negativamente. Lo stesso Giovanni Paolo II con la Familiaris consortio ha sancito un chiaro divieto.
Ma gli occhi di Dio sono quelli della misericordia, vanno avviati processi anziché elaborare dossier esaustivi dei casi. Va affermato il primato della legge della gradualità nell’incarnazione dell’ideale evangelico, privilegiata la formazione alla responsabilità della coscienza e all’arte del discernimento. In luce lo stile pastorale dell’accompagnamento. La comunità cristiana deve essere inclusiva e ospitale. La coscienza è voce di Dio (Gaudium et Spes 16), c’è un appello che esige una risposta libera.
Purtroppo la ricezione del messaggio è appena agli inizi , perché si tratta di un decisivo cambio di paradigma. Il clero è in gran parte impreparato , come gli operatori pastorali in ambito familiare. Il fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione (Francesco), questo senza motivare l’apertura alla grazia.
In Italia l’episcopato campano (Linee guida per la ricezione dell’Amoris laetitia) dice possibili percorsi di riammissione alla Comunione eucaristica dei divorziati risposati o conviventi. Il ruolo di guida spirituale può essere affidato anche a dei laici. Per don PaoloGentili , direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia, l’Amoris laetitia non è il capriccio di un Papa illuminato, ma voce di popolo che nasce da un processo condiviso e il cammino è bene avviato. Più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture.
Per il cardinal Francesco Coccopalmerio abbandonare l’unione non legittima in alcuni casi significherebbe ledere altre persone di per sé innocenti e precisamente il partner e i figli. Si vorrebbe sinceramente cambiare (la situazione irregolare), ma questo non può avvenire senza una nuova colpa. Vivere allora come fratello e sorella? Se l’impegno è difficile i due conviventi si comportino secondo la coscienza nel modo più corretto possibile.
Se non c’è la sincera intenzione di attuare il proposito di cambiare comunque l’accesso all’Eucaristia non può essere consentito. Le condizioni essenziali non concedono di decidere in modo autonomo, ma vanno sottoposte ad attento ed autorevole discernimento da parte dell’autorità ecclesiale (nemo iudex in causa propria), normalmente rappresentata dal parroco.
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