Nell’imminenza della nascita del mio primo nipote, mi sono fatto un sacco di idee sbagliate su quello che sarebbe successo. Ero un nonno di frontiera in fieri e non sapevo come sarebbe stata la vita con uno, poi due, nipoti in California.
Il nonno di frontiera che ancora non lo è tende a sviluppare una prospettiva sentimentale verso la sua prossima nonnitudine, e si fa una idea romantica del proprio ruolo. Siccome non sa cosa lo aspetta, lavora di fantasia e, partendo dagli elementi che ha, costruisce un mondo come vorrebbe che fosse, una serie di immagini, un film della rappresentazione del suo sé in quanto nonno.
È la costruzione di una elaborata sceneggiatura il cui protagonista non c’è ancora, ma che nella visione del nonno di frontiera assume i caratteri di una persona reale. È come essere alle leve di comando della macchina del tempo.
Mio nonno mi portava alle corse dei cavalli. Insieme salivamo in tribuna a vederli galoppare lungo la pista. Era molto orgoglioso della sua tessera di socio della Società ippica. Mi indicava il suo numero di iscrizione, stampato su un cartoncino a forma di ferro di cavallo, che veniva assegnato secondo l’anzianità del socio. Lui aveva il 3, e mi diceva i nomi di quelli iscritti da più tempo di lui. Credo non sia mai riuscito a diventare il numero 1.
Scommetteva anche, ma sempre e solo una “doppia accoppiata”, che aveva la puntata minima più bassa. Insomma: il minimo della spesa. Sapeva chi erano i proprietari di alcuni dei cavalli in gara, e mi sembrava li conoscesse di persona, cosa possibile immaginando quanto potesse essere grande la città nei primissimi anni ’60; così puntava solo sui cavalli dei suoi amici. Si andava al botteghino e si tornava a sedersi in tribuna con un foglietto bucato secondo i numeri dei cavalli dati per primo e secondo. Si vedevano le corse. Si buttava il foglietto.
Mi sono spesso chiesto perché, tra tutti quelli possibili, il ricordo più vivo che io ho di mio nonno sia di quando mi ha portato alle corse dei cavalli. La spiegazione che mi sono dato è che le corse ippiche siano state le uniche nelle quali fossi da solo con lui: era lì con me e mi raccontava di qualcosa a cui teneva.
Quando ho saputo che sarei diventato nonno, ho pensato che, una volta avesse raggiunto l’età adeguata, sarei andato con mio nipote a pescare il salmone nello Yosemite.
La genesi di questa idea non è chiara, e la questione non ha trovato finora una risposta soddisfacente.
L’ipotesi più accreditata fa riferimento ad un certo cartone animato di Walt Disney visto alla televisione in bianco e nero, dove Paperino portava Qui, Quo e Qua in campeggio lungo un fiume e faceva la lotta con Cip e Ciop a suon di ghiande lanciate con la fionda.
Vero o no che sia, l’idea ha una sua audacia: io non ho mai pescato in vita mia neanche un pesce rosso ai baracconi e, qualora mi mettessi a usare canna e lenza, è sicuro che supererei Paperino in goffaggine. Inoltre, ammesso e non concesso che nei fiumi dello Yosemite ci siano i salmoni, credo che i ranger non consentirebbero neanche di avvicinarsi ad un fiume, figuriamoci se muniti di attrezzi per la loro cattura.
Però mi piaceva molto l’idea, e così ho fantasticato su una specie di road movie nel quale insieme avremmo caricato nel cassone di un pick-up quanto necessario e, raggiunto lo Yosemite, avremmo acchiappato salmoni.
Ora, uno dei meriti della nonnitudine di frontiera è che libera la mente dai sentimenti a buon mercato, in particolare delle infatuazioni romantiche per i luoghi esotici.
Quindi il nonno di frontiera fa buon viso a cattiva sorte e piega tutine, accoppia calzini e, siccome non si è mai finito di imparare, da poco stira le camicie. Sta lavorando all’attaccatura dei bottoni. Il rammendo, come la pesca, è decisamente fuori portata. Almeno per ora.
Tuttavia…
Durante l’ultimo soggiorno in California, congelata l’idea della cattura del salmone per manifesta ancorché momentanea impraticabilità, ho proposto alla madre di mio nipote di considerare l’ipotesi che io lo portassi a fare un giro in treno, mezzo di trasporto che lo appassiona molto.
Si dà il caso che la penisola di San Francisco sia percorsa per tutta la sua lunghezza da una linea chiamata Caltrain. Qui, trainati da grossi locomotori diesel, transitano convogli adattissimi al trasporto di coppie nonno-nipote desiderose di un momento di intimità, oltre che della fascia più scalcinata dei pendolari locali – gli altri viaggiano in auto o sui pullman aziendali con aria condizionata e connessione Internet, dove se non lì.
Quindi, muniti di zainetto con la merenda e di molte raccomandazioni, siamo stati trasportati alla stazione dove abbiamo preso il treno: quattro fermate verso nord, giù dal treno, sottopassaggio, riemersione sul marciapiede opposto giusto in tempo per prendere la coincidenza in direzione sud, quattro fermate, ritornati. Non proprio la pesca al salmone, però come inizio non c’è male: sono sicuro di avere ampio margine di miglioramento.
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