Sarebbe un bene o un male se Renzi si costruisse un suo partito? È una domanda oziosa. Perché Renzi ne ha già gettato le fondamenta. Basta leggere il libro appena uscito per capirlo. E farsene una ragione, se si giudica in torto l’autore. Il libro reca un titolo sbagliato, Avanti, essendo evidente l’apparentamento involontario/volontario con l’En March! di Macron, e pecca dunque d’originalità, come minimo. Poi, se vogliamo indietreggiare nelle epoche, evoca volente/nolente lo storico titolo -pur senza punto esclamativo- del giornale novecentesco dei socialisti, che nulla ha da spartire (hanno da spartire) con il nostro ex premier. Infine, ciò che rappresenta la nota più beffardamente dolente, la copertina propone l’immagine d’una strada accidentata tra due boschi. A chi la guarda vengono in mente, e basta il realismo invece della malizia, i due Boschi con la bi maiuscola, padre e figlia, sicché vien facile domandarsi: Renzi ha voluto offrire a scopo autoliberatorio un’inevitabile/psicanalitica confessione del suo disagio?
Oltre questi appunti formali, sta la sostanza politica. Essa racconta d’un leader stufo del partito di cui è alla guida. Perciò, delle due l’una: o cambia il partito o cambia lui. Il partito non lascia intendere di voler mutare. Una forte maggioranza, una tenace minoranza. C’è appena stata una scissione, tira aria di bis. Ogni parola, gesto, decisione del capo vengono giudicati con il tic della prevenzione, del sospetto, della rosicata. Non succede quello che capita nella normalità, ovvero: si discute, ci si conta, vincono alcuni e perdono altri, i secondi si mettono ragionevolmente (se non democraticamente) al servizio dei primi. Niente affatto. La guerra prosegue. Lotta continua, con danni evidenti.
Il Pd è ingovernabile, come degl’italiani diceva Longanesi (poi imitato da Mussolini e da un lungo codazzo di replicanti). Trattasi di un’impresa impossibile/inutile. Preso atto della realtà, a Renzi conviene mollare il partito senz’attendere che nuove schiere l’abbandonino. Non lo sostiene l’ultimo degli osservatori della politica, lo testimonia in prima e autorevole persona il segretario dei Dem, qui e là, nei capitoli di una ben scritta narrazione. Certo non in modo esplicito, e tuttavia in maniera chiara a occhi senza bende e menti senza nebbie.
Resta da comprendere quali saranno i tempi. Non prima del voto, salvo cataclismi. Ma dopo sì. Il proporzionale lascerà mani libere per le alleanze di governo, le alleanze di governo produrranno una maggioranza trasversale sinistra/destra, la maggioranza trasversale sinistra/destra appare consustanziale al renzismo. Che guarda ai problemi, mira a risolverli senza ideologizzazioni, cerca intese sui fatti anziché sulle parole.
Uno più uno più uno fa tre. Se i citati (appunto tre) punti riempiranno l’agenda del prossimo futuro, sarà il governo del Paese a consentire al figliol magico -si scherza, eh- di costruire un nuovo partito, il suo partito, e non viceversa. Ovvero il nuovo partito che costruisce un governo. Non un sorprendente paradosso, qui da noi. Siamo i maestri del genere, pur se talvolta arriva qualcuno a darci una nuova lezione. Simpatico o antipatico che sia. Perciò aspettiamoci il PdR o il PdN, il Partito di Renzi o il Partito della Nazione, o chissà che nome per esprimere un omen. O per recitare il definitivo amen.
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