La nomina del nuovo arcivescovo di Milano è un fatto di rilievo non solo per la vita ecclesiale, ma anche per la vita sociale ed economica, dal momento che la metropoli lombarda è un fondamentale incrocio di interessi che la rendono una delle città più vive d’Europa. La scelta di Papa Francesco di nominare monsignor Mario Delpini è significativa sotto vari profili. Anzitutto quello umano, per cui la fisionomia del neo-eletto coincide con l’identikit del vescovo ideale che il Papa ha spesso tratteggiato: semplice nel suo proporsi e preoccupato soprattutto del bene del suo popolo più che della sua carriera personale, teso più a condividere tutte le esigenze umane che a pretendere di risolvere i problemi quotidiani.
Si è trattato di una scelta tutta milanese, attesa ma anche diversa dalla tradizionale consuetudine di mandare a Milano un pastore proveniente da Roma, quasi per controbilanciare il peso della chiesa milanese (era dai tempi del cardinal Colombo, nominato da Paolo VI suo successore a Milano, che non si vedeva un vescovo che fosse il frutto della stessa chiesa ambrosiana). Oggi la scelta è per un prete tutto ambrosiano, che ha sempre vissuto la sua vita sacerdotale dentro la chiesa locale che lo ha generato, dapprima come giovane prete, poi come insegnante, responsabile e rettore del seminario arcivescovile, infine come vescovo ausiliare e vicario generale della diocesi. Con questa decisione il Papa esprime anche il suo apprezzamento verso Milano, scegliendo chi, per competenza e fedeltà, è stato più vicino al cardinal Scola e può quindi continuarne l’azione pastorale.
La nomina è stata in generale ben accolta da tutto il clero diocesano, e anche dei fedeli che, se pure conoscono forse poco la personalità del neo eletto, anche a motivo della sua riservatezza e della sua naturale modestia, sono però rimasti già piacevolmente impressionati dall’approccio umano, sereno, persino ironico, con cui si è presentato pubblicamente, mostrando l’aspetto che lo rende quasi più simile ad un prete di paese che non all’alto prelato che guiderà la diocesi. La sua provenienza da Jerago in provincia di Varese, luogo periferico rispetto alla metropoli, lo ha abituato a stare insieme a tutti, con un rapporto cordiale che lo immerge immediatamente nel popolo. Così si è fatto apprezzare per la sua capacità di predicare, parlando anche ai più semplici e meno dotti attraverso brevi racconti scritti, dedicati soprattutto ai bambini e agli anziani. Ciò non toglie che egli sia un profondo uomo di cultura, che ha messo le sue capacità al servizio del buon andamento della Chiesa diocesana, dimostrando di non essere solo un buon funzionario o un solerte impiegato di curia, ma di conoscere molto bene i dinamismi interni alla Chiesa.
Perciò possiamo dire di lui che è un vescovo veramente padre perché si è fatto veramente figlio, facendo della leale obbedienza ai suoi arcivescovi Martini Tettamanzi Scola il significato del suo servizio silenzioso ed efficace, così da lasciarsi generare e formare dalla chiesa di Ambrogio e Carlo, senza preoccuparsi di apparire sulla scena grazie agli incarichi che gli erano stati affidati.
Già presentandosi ai giornalisti, ha mostrato di essere amabile e dotato di fine senso dell’ironia, soprattutto nel riconoscere alcuni suoi limiti obiettivi, sorridendo anche sui nomi importanti dei suoi illustri predecessori (Ildefonso, Carlo Maria, Dionigi) rispetto al suo più comune nome Mario con cui lo hanno chiamato i suoi genitori. Ha scherzato anche sul fatto che, non amando i traslochi, starebbe ancora volentieri ad abitare nella casa del clero dove oggi risiede, assicurando che però non vive “sotto i ponti”. Sono battute che tendono a creare un clima di familiarità, per superare i formalismi che Don Mario ha imparato a lasciar cadere vivendo la quotidiana semplicità della vita del paese dove è vissuto e cresciuto, e dove vivono ancora oggi i suoi familiari. La qualità delle relazioni diviene così per lui segno di uno stile con cui la Chiesa intende “essere amica di tutti gli uomini”, incontrandoli al solo scopo di annunciare loro il Vangelo. Ma la forza per fare questo non nasce solo dalle sue personali capacità, ma viene dalla fede che gli permette di affrontare tutti i doveri e le responsabilità che gli toccano.
Conoscendo personalmente Don Mario, sono certo che non ha cercato questa nomina, ma l’ha accolta con l’obbedienza e la grande disponibilità di chi sa che la Chiesa di Dio non appartiene ai vescovi, ma alla comunità cristiana, che è il popolo di Dio loro affidato. E volendo chiedere un dono a Dio per Milano, ha espresso il desiderio che si realizzi per tutti la gioia, perché se i milanesi hanno tante capacità operative, devono poter gustare anche la vera gioia che solo Dio può dare.
Benvenuto tra noi e buon inizio della sua missione di guida della Chiesa ambrosiana che la inserisce nel solco tracciato da Ambrogio e Carlo. Sia certo che preghiamo per lei e con lei, stringendoci in una rinnovata alleanza pastorale tra sacerdoti e laici (parrocchie, movimenti, associazioni, gruppi ed uomini di buona volontà) per percorrere insieme il cammino che il Signore ci indicherà.
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