Incombe a Roma, oltre alla canicola, all’emergenza idrica e ai voti che si autoassegna la sindaca Raggi, la stagione dei saggi.
Inesorabile come le fave e il pecorino il primo maggio, il pollo e peperone a ferragosto, non v’è corso di musica, ballo, disegno, chitarra, cucina, teatro che non termini con il famigerato ‘saggio’. E noi che abbiamo già figli grandi e che quindi pensavamo di averla sfangata, ci ritroviamo ugualmente a correre per quello dei nipoti in orari differenti e scuole diverse da raggiungere sempre nel caotico traffico della capitale.
Inutile chiedere al maestro di posporre l’appuntamento, di farne una versione ‘light’, di riparlarne magari a settembre: il giugno romano è categoricamente consacrato ai saggi.
Che poi, si capisce, la cosa ai bambini interessa assai poco. È una questione di orgoglio del maestro, subita da sudate mamme e papà che magari hanno dovuto prendere ferie per essere presenti.
Così come a Siena le contrade del Palio fanno a gara nell’eccellere, il saggio rappresenta a Roma la misura della prestazione, lo sfoggio di potenza, il grado di autorevolezza dell’insegnante. Più riesce bene e più salgono i punti nella immaginaria graduatoria capitolina.
In genere i saggi di fine anno si svolgono in palestre di periferia dove non c’è mai l’aria condizionata. Vengono preceduti dall’obbligatorio acquisto di magliette, divise, fiori. Per l’occasione lo scarno edificio è abbellito da tristanzuoli palloncini colorati. Il bidello che deve fare gli straordinari è scorbutico. Le sedie sono quelle di legno scrostate della scuola. La platea è composta, oltre che dagli esausti genitori o dai nonni in supplenza, da parenti di ogni ordine e grado vestiti per l’occasione come se avessero vinto il concerto di Capodanno a Vienna.
C’è il solito spiritoso che grida ‘bravi!’ in continuazione, l’anziana nonna in carrozzella che dopo dieci minuti chiede di essere portata fuori per l’afa, l’amica di famiglia zitella e i cugini dei Castelli gestori di numerose trattorie come si intuisce dalla stazza.
Il maestro e gli allievi si fanno attendere. Un ragazzino con il gelato sporca la giacca di uno spettatore. Nervosismo. All’ingresso i soliti si alzano sulle sedie delle prime file per fare i filmini e tutti dietro a gridare ‘seduti!’. Insomma non ci si fa mancare niente.
Il maestro presenta via via i numeri manco fossimo al Bolshoi. Lo stereo fa i capricci. Poi si ferma. Gruppi di genitori si avvicendano al capezzale per farlo ripartire. Il bidello guarda nervosamente l’orologio. Ogni presente filma con lo smartphone. I ragazzini non vedono l’ora che tutto finisca per poter tornare a giocare.
E noi genitori e nonni, costretti nostro malgrado a intavolare chiacchierate di cortesia con i vicini e condividere doverosi e generosi apprezzamenti verso l’esibizione, misuriamo con il saggio l’anno sociale ormai finito.
Ci diciamo: anche per questa volta è andata. Manca solo quello di minibasket e la cena con gli insegnanti (a proposito chi raccoglie i soldi per il regalo?) e poi ci ritroveremo nuovamente a settembre. Pronti per un’ altra tornata sociale nella Città eterna: tra code, buche, polemiche, rifiuti e mezzi di trasporto che non arrivano. Ecco, forse questo è il vero e proprio saggio da mettere in scena. Di sopravvivenza
You must be logged in to post a comment Login