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Attualità

LA “VOCE” DI KAROL

SERGIO REDAELLI - 07/07/2017

joaquin-navarro-valls“Quando il papa volle conoscermi, pensai a uno scherzo”. Joaquin Navarro-Valls, il medico psichiatra e giornalista spagnolo che fu storico collaboratore, portavoce e “spin doctor” di papa Giovanni Paolo II, lo confessò in una lunga intervista a Vittorio Zucconi: “Mi invitò a pranzo durante un incontro della stampa estera e mi chiese se avessi qualche idea per migliorare la comunicazione della Santa Sede. Risposi che così’ sui due piedi non sapevo che dire ed egli sorridendo: si prenda il tempo necessario, se me lo dice domattina va benissimo”. Il papa già sapeva di poter contare sul proprio intuito e sulle decisioni del prescelto e infatti Navarro-Valls diresse per ventidue anni la Sala stampa vaticana, dal 1984 fino alla morte di Wojtyla e oltre, a tutto il primo anno di pontificato di Benedetto XVI.

Di lui – scomparso il 5 luglio a ottant’anni – molti ricordano il pianto che non riuscì a trattenere annunciando ai media, nell’aprile 2005, che le condizioni del papa polacco erano ormai disperate. Fu l’unico attimo di debolezza in una “carriera” caratterizzata da un’elegante professionalità, amico e confidente di Wojtyla , la fedele ombra che usciva allo scoperto solo per gestire i rapporti ufficiali con i media, con calma e aplomb diplomatico, rispettando l’esuberante personalità del pontefice: “Per lui le telecamere, il trucco e le luci non esistevano – spiegava – Non si faceva dire dove guardare, se fissare l’obiettivo oppure no, per il papa di Wadowice comunicare era far apparire la verità, non costruire l’apparenza”.

Navarro-Valls, numerario dell’Opus Dei, votato al celibato, era nato a Cartagena e aveva studiato medicina prima di dedicarsi al giornalismo nel quotidiano spagnolo Abc, corrispondente da Roma. Primo direttore non sacerdote della Sala stampa vaticana, ha seguito Wojtyla nei passaggi più delicati di un ventennio storico, dalla caduta del muro di Berlino alla svolta di Gorbaciov, dallo scandalo della pedofilia negli Stati Uniti al misterioso omicidio-suicidio del comandante della guardia svizzera, di sua moglie e di un soldato. Era al seguito del papa nel 1997 quando Karol celebrò la messa a Sarajevo devastata dalla guerra jugoslava, nel 2000 quando il pontefice si raccolse in preghiera davanti al muro del pianto a Gerusalemme e, nel 2001 quando, già ammalato del morbo di Parkinson, innaffiò un ulivo simbolo di pace a Damasco in Siria.

Ha assistito alla sua beatificazione nel 2011 e alla canonizzazione il 27 aprile 2014, insieme a Giovanni XXIII, nel corso di un’unica cerimonia celebrata da papa Francesco. Ed è stato testimone e depositario d’infiniti aneddoti. Della resistenza fisica di Wojtyla, capace di stare sveglio molte ore di fila per preparare in aereo, a ottant’anni, i discorsi da tenere in Messico o di quando accorse al capezzale del presidente Pertini giunto alla fine dei suoi giorni, fermandosi a pregare a lungo per l’amico, in silenzio, nel corridoio dell’ospedale. Fu lui a curare la regia del primo libro-intervista con un papa, “Varcare le soglie della speranza”, affidato alla penna amica di Vittorio Messori, ad occuparsi del complicato cerimoniale della prima visita di un vescovo di Roma alla sinagoga e al rabbino capo Elio Toaff nel 1986 e del viaggio del papa a Cuba nel 1998 dopo un’interminabile trattativa con Fidel Castro.

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